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quarta-feira, 26 de fevereiro de 2020

don Divo Barsotti, O diabo e as tentações





Retiro 13 de Março 1984 - Biella





homilia de sábado à noite

O Evangelho de hoje é a própria essência do cristianismo: o Evangelho de Jesus é a "boa nova", é o anúncio da misericórdia que se derrama sobre o universo, e é uma misericórdia infinita. Deus é o que Ele é, Ele não muda, e Ele é, portanto, para todos, sempre, misericórdia sem limites. Onde está, então, o limite desta misericórdia? Logicamente, no sentimento que temos da necessidade de perdão de Deus: tanto recebemos de Deus quanto acreditamos receber, e nada mais. E esperamos receber apenas na medida em que nos sentimos carentes. A melhor condição do homem é, portanto, a de quem se sente mais pecador e no sentimento de seu próprio pecado se abre com maior confiança a esta misericórdia de Deus.

Existem, portanto, duas condições para entrar neste relacionamento com Deus: o sentimento do nosso pecado; o reconhecimento da Sua misericórdia.

É por isso que todo o povo oriental, especialmente o monaquismo, sintetiza toda a vida espiritual no que se chama a "oração de Jesus": "Jesus Cristo Filho de Deus, tem piedade de mim, pecador". São os dois abismos que são chamados, como diz o salmo: "O abismo chama o abismo", ou seja, o abismo da nossa pobreza chama o abismo da misericórdia de Deus. Há uma correspondência entre o homem e Deus, mas a correspondência entre o homem e Deus é misericórdia, surge precisamente do vazio que deve ser preenchido pelo Todo divino; e Deus se faz presente a uma alma não segundo o que Ele é, mas segundo o que a alma sente de si mesma e sente de Deus. Devemos sentir que somos pecadores; sem o sentimento do nosso pecado somos excluídos da redenção, porque a nossa salvação deve ser a redenção. E o que significa redimir? Em latim significa "para comprar de volta". Nós pertencemos a Deus, mas o mundo tem hipotecas sobre nós. Se temos sentimentos de vaidade, amor-próprio, orgulho, sensualidade, é um sinal de que o mundo tomou posse de nós. Isto é o que Clemente Alexandrian disse no século II: "As paixões do homem são os estigmas do diabo", ele quis dizer que elas são como um sinal de pertencer ao maligno.

Agora, se há esses sentimentos em nós, eles nos dizem o que somos para Deus. E nós devemos senti-lo, e devemos vivê-lo, precisamente porque o sentimento do nosso pecado é a primeira condição para entrar em relação com o Senhor, porque Ele é o Redentor, Ele é Aquele que "nos compra de volta". Nós éramos de Deus, mas agora nos desapegamos Dele, pelo menos em parte, e pertencemos a este mundo; portanto, Deus deve nos afastar do poder que este mundo tem sobre nós, do poder que o Maligno tem sobre nós.

A redenção que o Senhor deve realizar hoje na humanidade é a redenção que exige infinita misericórdia; pois exige que a humanidade se dê conta de quão escravizada está para o Maligno. Há os nossos pecados pessoais conscientes, mas há escravidão inconsciente em todos nós. Você lê o jornal, você vê televisão; você percebe que por todos esses meios, mas também no mercado, mesmo no trabalho, o mundo sempre nos coloca uma certa hipoteca? Somos escravos dos nossos hábitos, escravos dos nossos prazeres, escravos da nossa vontade, escravos acima de tudo do respeito humano, da moda, do tempo... não há mais liberdade para o homem. Há 50 anos, o homem era mais homem do que é hoje. Falamos de progresso: o progresso é uma involução assustadora! Vejam que hoje em dia a sociedade, o Estado, tende a limitar cada vez mais a liberdade espiritual do homem. Você não tem a possibilidade de se desfazer da sua vida, nem mesmo como pensionista! O mundo te leva e não te deixa mais sem fôlego: você tem que pensar como o mundo pensa, você tem que se submeter aos modos de sentir, aos modos de viver que são próprios do mundo. Uma família pode passar sem televisão? Pode viver sem o jornal? E o que significa tudo isto? Acha que estes são meios para a nossa promoção? É o oposto que é verdade: é o mundo que por todos estes meios te faz seu escravo, te faz seu peão, te move para onde quiser, de acordo com o que quiser. Poucas almas adquirem liberdade, mas a única maneira de ser livre é o cristianismo, a vida cristã vivida, porque é Cristo que nos liberta, é Cristo que nos redime, isto é, que nos compra de volta ao mundo que se apoderou de nós.

Lembra-se das palavras de Jesus àqueles que lhe dizem: "O que você acha, Mestre, devemos ou não dar o tributo a César? O que Jesus responde? "Dá a César o que é de César e a Deus o que é de Deus".

Traduzido com a versão gratuita do tradutor - www.DeepL.com/Translator

terça-feira, 25 de fevereiro de 2020

don Divo Barsotti, Il demonio e le tentazioni

Il demonio e le tentazioni

Domani 26 febbraio (prima domenica di Quaresima - Anno "B") rifletteremo sul Vangelo
 delle tentazioni. Le meditazioni che propongo di seguito (di don Divo Barsotti)  su Gesù
tentato da Satana sono testi attualissimi anche per noi oggi...

Ritiro 13 marzo 1984 - Biella


Omelia del sabato sera
Il Vangelo di oggi è l'essenza stessa del cristianesimo: il Vangelo di Gesù è la "buona novella", è l'annunzio fella misericordia che si effonde sull'universo, ed è una misericordia infinita. Dio è quello che è, non muta, ed Egli perciò è per tutti, sempre, misericordia senza limiti. Dov'è dunque il limite di questa misericordia? Logicamente nel sentimento che noi abbiamo del bisogno del perdono di Dio: tanto riceviamo da Dio quanto crediamo di ricevere, e nulla di più. E noi speriamo di ricevere solo nella misura che ci sentiamo mancanti. La condizione migliore dell'uomo è quindi quella di colui che si sente più peccatore e nel sentimento del proprio peccato si apre con maggiore fiducia a questa misericordia di Dio.
Due sono dunque le condizioni per entrare in questo rapporto con Dio: il sentimento del peccato nostro; il riconoscimento della misericordia sua.
Ecco perché tutto il popolo orientale, soprattutto il monachesimo, sintetizza tutta la vita spirituale in quella che si chiama la "preghiera di Gesù": "Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore". Sono i due abissi che si richiamano, come dice il salmo: "L'abisso chiama l'abisso", cioè l'abisso della nostra povertà chiama l'abisso della misericordia di Dio. Vi è una corrispondenza fra l'uomo e Dio, ma la corrispondenza fra l'uomo e Dio è misericordia, nasce precisamente dal vuoto che deve essere riempito dal Tutto divino; e Dio si fa presente a un'anima non secondo quello che Lui è, ma secondo quello che l'anima sente di sé e sente di Dio. Bisogna sentirci peccatori; senza il sentimento del nostro peccato noi siamo esclusi dalla redenzione, perché la nostra salvezza deve essere una redenzione. E redimere che cosa vuol dire? In latino vuol dire "ricomprare". Noi siamo di Dio, ma il mondo ha delle ipoteche sopra di noi. Se noi abbiamo sentimenti di vanità, di amor proprio, di orgoglio, di sensualità, è segno che il mondo ha preso possesso di noi. È quello che diceva Clemente Alessandrino nel II secolo: "Le passioni dell'uomo sono le stigmate del diavolo", voleva dire che esse sono come il segno di un'appartenenza al maligno.
Ora se in noi vi sono questi sentimenti, essi ci dicono che cosa noi siamo nei confronti di Dio. E dobbiamo sentirlo, e dobbiamo viverlo, proprio perché il sentimento del nostro peccato è la prima condizione per entrare in rapporto col Signore, perché Egli è il Redentore, è Colui che ci "ricompra". Eravamo di Dio, ma ora ci siamo staccati da Lui, almeno in parte, e apparteniamo a questo mondo; bisogna perciò che Dio ci strappi al potere che ha questo mondo su di noi, al potere che ha il maligno su di noi.
La redenzione che il Signore deve compiere oggi nell'umanità è la redenzione che esige proprio una misericordia infinita; perché esige che l'umanità si renda conto di come è schiava del maligno. Ci sono i nostri peccati personali coscienti, ma c'è una schiavitù incosciente in tutti noi. Si legge il giornale, si vede la televisione; vi rendete conto che attraverso tutti questi mezzi, ma anche al mercato, anche al lavoro, sempre il mondo mette una certa ipoteca su di noi? Noi siamo schiavi delle nostre abitudini, schiavi dei nostri piaceri, schiavi della nostra volontà, schiavi soprattutto del rispetto umano, della moda, del tempo... non c'è più libertà per l'uomo. Cinquant'anni fa l'uomo era più uomo di oggi. Si parla di progresso: altro che progresso è una involuzione paurosa! Guardate che oggi la società, lo Stato, tendono sempre più a limitare la libertà spirituale dell'uomo. Tu non hai la possibilità di disporre della tua vita, nemmeno da pensionato! Il mondo ti prende e non ti lascia più respiro: devi pensare come pensa il mondo, devi assoggettarti ai modi di sentire, ai modi di vivere che sono propri del mondo. Riesce a una famiglia fare a meno della televisione? riesce a vivere senza il giornale? E tutto questo che cosa implica? Voi credete che questi siano mezzi per una nostra promozione? È il contrario che è vero: è il mondo che attraverso tutti questi mezzi ti rende suo schiavo, ti fa sua pedina, ti muove dove vuole, secondo quello che vuole. Sono poche le anime che acquistano libertà, ma l'unico modo per essere liberi è il cristianesimo, la vita cristiana vissuta, perché è il Cristo che ci libera, è il Cristo che ci redime, cioè che ci ricompra dal mondo che ha preso possesso di noi.
Vi ricordate le parole di Gesù a coloro che gli dicono: "Che cosa pensi Maestro, dobbiamo dare il tributo a Cesare o no?". Che cosa risponde Gesù? "Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Ma è una risposta sibillina, una risposta che sembra non dire nulla; o non dice nulla o c'è una verità profonda che noi dobbiamo scoprire. Infatti tutto appartiene a Dio; che cosa può sottrarsi al potere di Dio? Solo quello che appartiene al male.
Ora dobbiamo renderci conto che Cesare, specialmente a quel tempo, era il "divino Cesare". L'idolatria, al tempo in cui vive Gesù, era dello Stato, che anche allora era uno Stato praticamente totalitario. Per questo i martiri cristiani non muoiono soltanto per essere fedeli a Cristo, muoiono per la libertà della loro coscienza; lo Stato non ha il potere di intervenire nella loro coscienza interiore. E con Hegel il potere del maligno entra nel mondo mediante lo Stato, perché di fatto lo Stato riesce a prenderti totalmente e a farti come vuole. Tu non puoi determinare, per esempio, il prezzo della frutta o di qualunque altra cosa; vi rendete voi conto che effettivamente tutto è determinato? Non c'è più spazio di libertà né nel pensiero né nell'agire.
È il marchio di Satana. "Date a Cesare quello che è di Cesare", che cosa vuol dire? Liberarci dal potere che ha su di noi l'idolo, non Dio, ma il mondo, non Dio, ma il maligno; e noi tutti subiamo più o meno questa schiavitù degli uomini. Io penso che ciascuno di noi è molto più libero di qualsiasi uomo importante, e quanto più un uomo è importante e inserito in questo mondo, tanto più quest'uomo è schiavo.
Questo è anche vero per gli uomini di Chiesa, perché la Chiesa è santa, ma gli uomini sono uomini, e anche gli uomini di Chiesa sono servi del potere economico, politico, culturale. La libertà di san Francesco? Ecco perché coloro che conobbero Francesco, parlano di lui come l'uomo nuovo: perché vedono in lui una incarnazione nuova del Cristo perché nella sua povertà e umiltà egli si strappa a tutti i poteri che ha il mondo sull'uomo: del denaro non sa che farsene, non sa che farsene degli onori. Come gli uomini cercano la stima, l'onore e l'ambizione, così lui cerca l'umiltà, il nascondimento, lui cerca di non essere nulla. È tutto di Dio e Dio risplende in lui, vive in lui.
Ecco: il sentimento del nostro peccato, questo prima di tutto, non solo il peccato attuale, ma gli effetti del peccato originale, che dimostrano come noi siamo schiavi del male, non solo perché facciamo peccato, ma perché non abbiamo riconquistato la libertà che è propria dei figli di Dio, nell'amore per Lui che ci libera da tutte queste schiavitù dei nostri sensi, delle nostre ambizioni, del nostro amor proprio, della nostra vanità, della nostra superficialità, del nostro comodo, perché attraverso il nostro comodo - ecco la sensualità - il mondo ci prende. Sensualità che cosa vuol dire? Vuol dire anche mangiare bene, o avere una bella casa... pian piano tu ne divieni schiavo; anche questa è schiavitù, e tutti siamo più o meno schiavi. La libertà dell'animo che vive soltanto di Dio... Quando potremo raggiungere di nuovo questa grande libertà?
Ecco, si tratta prima di tutto di avere il senso della nostra schiavitù, di sentire che veramente questa vita umana più o meno ci condiziona tutti. Il mondo di oggi è tale che la nostra vera liberazione sarà soltanto la morte. Più o meno saremo sempre legati a un mondo che ci domina, che ha delle ipoteche sopra di noi e col quale noi dobbiamo venire a compromessi nel vestire, nel mangiare, nelle amicizie, coi sindacati, con i partiti, con le tasse, attraverso tutto. Sentire questa nostra condizione di pena che deriva dal peccato. Ci sono in noi certamente anche peccati attuali, ma quelli possono essere veramente una espressione di una certa fragilità che neppure può offendere Dio, son cose non gravi per sé, oggettivamente; ma più grave è proprio questo condizionamento che deriva dal peccato. Ne parla addirittura anche il Papa del peccato del mondo che pesa su tutti noi. Dobbiamo sentire questo, perché se lo sentiamo possiamo invocare il Salvatore, ma se non lo sentiamo ci mettiamo da noi stessi in un piano di perfetta schiavitù. E la maggior parte degli uomini vanno verso la schiavitù, scelgono la schiavitù, vivono nella schiavitù senza rendersene conto; credono di essere liberi e non hanno più nemmeno il tempo di mangiare, nemmeno la possibilità di ascoltare la santa Messa; tu non sei più libero di usare nemmeno del tuo tempo per pensare a Dio!
Quante sono le donne che devono andare a lavorare al mattino presto e non hanno il tempo di dormire a sufficienza. Si deve pensare alla casa, pensare a una cosa, pensare ad un'altra, si va a letto tardi e e ci si alza presto, e non si ha più il tempo per parlare, per dialogare con il marito o con i figli; ma se non si lavora si fa fatica a tirare avanti! Prima era tutto molto più semplice; non era una vita lussuosa, ma si viveva più tranquillamente. Oggi siamo legati, è una catena che ci lega; devi fare attenzione a non urtare il tuo datore di lavoro, anche se a volte il suo modo di agire non è conforme alla legge; sono tutte schiavitù.
Ecco allora che ci vuole il sentimento del nostro peccato e anche di questa schiavitù che deriva dal peccato, poiché sentiamo di più il dolore, la pena di questi condizionamenti che del peccato stesso; ed è da questo sentimento che può sorgere la preghiera che sale a Dio e invoca misericordia, e invoca liberazione, e invoca salvezza. Come non possiamo noi non sentire questi condizionamenti terribili che ci chiudono, ci soffocano, ci stringono da ogni parte, ci fanno veramente prigionieri di questo mondo di peccato?
Ma davvero sale da tutti noi questa implorazione alla salvezza? La prima esigenza per essere cristiani - si diceva - è il sentimento del peccato e anche di questa schiavitù derivante dal peccato; ma non può salire la preghiera a Dio se a questo sentimento del peccato e della nostra condizione di pena non segue il riconoscimento di una misericordia infinita. Noi dobbiamo sapere che Dio ci può liberare. E di fatto i santi sono liberi. È una cosa meravigliosa, se si leggono le vite dei santi, vedere che specialmente negli ultimi anni della loro vita, sono anime liberate, possono vivere nella sofferenza e vivere nella gioia. Leggevo pochi giorni fa i quaderni scritti nei suoi ultimi mesi di vita, da santa Teresa di Gesù Bambino. Non erano stati ancora pubblicati perché si temeva di scandalizzare; e forse; e forse i vescovi e anche il Papa, se avessero letto quelle cose, non l'avrebbero canonizzata! Lei era nel tormento, ma il tormento non la chiudeva più; non faceva che dire quasi delle barzellette, trovava il modo d far ridere, eppure era una morte terribile la sua. Sapete che l'ultimo giorno Madre Agnese e Suor Genoveffa non hanno potuto assistere alla sua agonia, talmente era angosciosa? E tuttavia, quando era cosciente e libera dal dolore fisico, non gli altri consolavano lei, ma lei consolava gli altri, anzi li faceva anche ridere! Ed era moribonda.
Ma non è questo soltanto. Pensate a san Francesco di Assisi, povero, nudo, con l'Ordine che gli si spopolava fra le mani, che vive la gioia di andare verso la morte. È la libertà dell'anima che si sente ora nelle mani di Dio. Ma bisogna che l'anima che conosce veramente il peso del peccato e la conseguenza del peccato - che è appunto questa schiavitù, questo condizionamento del nostro essere che non realizza mai quello che vorrebbe, che si sente sempre più schiavo - bisogna che l'anima abbia anche una assoluta fiducia in Dio, si rimetta a Dio, si abbandoni a Lui, si lasci portare da Lui, creda in questo amore infinito Sono le due cose che dobbiamo tener presenti; e la cosa difficile è averle tutte e due insieme. Infatti si può sperare senza avere il senso della nostra miseria, ma allora non si spera in Dio: si spera nelle nostre virtù. E quanti siamo, anche noi che viviamo una vita spirituale, quanti siamo che non speriamo nella misericordia divina! Speriamo perché facciamo bene le nostre preghiere, speriamo perché crediamo di essere pazienti, speriamo perché cerchiamo di essere buoni... Ma guardiamoci veramente e quanto più ci conosceremo, tanto più conosceremo di essere peccatori.
Leggevo proprio ieri il testamento di san Leonardo Murialdo; voi sapete che nella fanciullezza ha commesso molti peccati, lo dice nelle sue "Confessioni", peccati tali che aveva rinunciato anche al paradiso. "Mandami pure all'inferno, ma voglio fare il mio comodo!" diceva. Ebbene, lui nelle ultime righe del suo testamento dice: "Non so, mio Signore, se questa mia vita tiepida, in cui non ti ho dato nulla, non sia peggiore e più empia ancora della mia fanciullezza". Perché diceva così? Perché quanto più uno è santo, tanto più conosce quanto è povera la sua risposta al Signore. E allora, quante volte noi dobbiamo dire che la nostra speranza è una speranza falsa, non è una speranza teologale. Si spera, in fondo, in quello che abbiamo fatto o in quello che facciamo, in quello che siamo o in quello che vogliamo essere, e non speriamo in Dio. La nostra vera speranza invece riposa soltanto in questa misericordia infinita, perché quanto più veramente cresciamo, se pure cresciamo nella santità, tanto più (e questa è la prova che cresciamo davvero), tanto più sentiamo la nostra miseria, tanto più siamo consapevoli della nostra impotenza. I due sentimenti dunque devono andare d'accordo sempre: sentimento del nostro peccato e riconoscimento di questa misericordia infinita, e abbandono a questa misericordia infinita. Se ti abbandoni alla misericordia senza avere il sentimento del tuo peccato non è più abbandono: sembra che Dio ti debba qualcosa, è come attendere una ricompensa, un premio a quello che fai o a quello che sei. Non pensare a un premio! Il concetto di premio, il concetto di merito sono anche concetti veri se si pensa in un certo modo, ma sono concetti che sviano veramente l'anima dal suo vero stato di creatura che accetta di essere amata per nulla e che si abbandona a questo amore gratuito ed immenso di Dio.
D'altra parte il sentimento del peccato senza il riconoscimento della misericordia sarebbe la disperazione nuda. Che cosa può sperare il mondo di oggi? Lo vedete, l'unica cosa che può sperare e che non scoppi la guerra, come se la guerra fosse il peggiore dei mali; ma una bomba atomica non farebbe tanti morti quanti ne fa la legge sull'aborto! Eppure nessuno pensa a quante morti questa legge procura. Chi sente il dramma di tutte queste vite distrutte? Nessuno. Siamo totalmente sordi. Eppure questo è veramente uno dei grandi mali del mondo di oggi, e quanto più si va avanti tanto più sembra che i mali si accrescano: si pensa all'eutanasia; e poi, finirà lì? Leggevo l'altro giorno che in Cina la legge vuole che la coppia non abbia che un figlio, e siccome in Cina persiste l'idea che è il maschio che continua la famiglia, perché è il maschio che provvede a onorare gli antenati, che cosa avviene? Che se il primo nato è una bambina, la famiglia provvede a sopprimerla. Pensate un po': prima peccati per avere un figlio solo, e poi il fatto di questa soppressione, che già incomincia a preoccupare i governanti perché questi bambini quando saranno grandi non avranno spose. Sono cose terribili! Questa e la situazione del mondo. Sì, è vero che non c'è la guerra, ma cos'è questa vita del mondo di oggi? dove andremo a finire?
Questo è il peccato, peccato non soltanto dei singoli, ma peccato strutturale di una società, di un mondo che è tutto sotto il maligno. Le parole che dice san Giovanni nella Prima Lettera, "Tutto il mondo è sotto il maligno", mai sono state così vere come oggi; eppure il mondo non se ne accorge. Sembra veramente di dover disperare. Com'è possibile la salvezza di questo mondo? Chi potrà cambiare la faccia di un mondo che è così dominato dal male?
Ed ecco quello che scriveva il Papa nella "Dives in Misericordia". Per me non ha scritto pagina più bella della fine di questa Enciclica, perché c'è questa supplica, questo aprirsi di quest'uomo che è responsabile della salvezza del mondo in quanto è Vicario di Cristo, questo aprirsi della sua anima a invocare una misericordia divina che finalmente rinnovi la faccia della terra. Perché il male del mondo è grande, ma la misericordia di Dio è infinita, e ci vuole veramente una speranza immensa perché noi possiamo sperare d'avere una salvezza, salvezza per ciascuno di noi, salvezza per tutti gli uomini, salvezza per questo mondo; avere chiara la visione di un mondo che è nel male e insieme avere presente l'infinita misericordia di Dio. Ecco i due punti che dobbiamo tenere presenti sempre nella nostra vita interiore per noi e per tutti. Non minimizziamo il nostro peccato, la nostra responsabilità, ma nemmeno minimizziamo la misericordia infinita di Dio; non facciamo questo oltraggio a un Dio che per amor nostro ha voluto morire sulla croce.
Di qui noi comprendiamole parole di Gesù che ci dice oggi il Vangelo: "Non sono venuto per i sani ma per i malati". Il medico non va dai sani, ma dai malati; se noi dunque vogliamo che il Signore sia vicino a noi, bisogna che Egli scenda nelle nostre case, nella nostra anima, com'è sceso nella casa di Levi, che poi divenne suo apostolo. Apriamo la nostra casa! Cioè, in un sentimento vivo del nostro peccato, apriamoci alla misericordia infinita di Dio, perché Dio scenda in noi, abiti in noi, sia Lui la nostra speranza, sia lui la nostra pace, sia Lui la nostra salvezza, sia Lui la nostra libertà. Voi lo vedete, sembra che Dio si compiaccia di fare i prodigi più grandi del suo amore proprio levando dall'abisso più profondo le anime che Egli predilige: la Maddalena, Matteo, e poi Paolo, e poi Agostino. E se questo è vero per i singoli, sarà vero anche per il mondo. Noi faremmo oltraggio a Dio se pensassimo che questo mondo deve essere perduto, perché Egli è il Salvatore del mondo.
Ma chi potrà salvare questo mondo se non noi che prendiamo coscienza del suo male e imploriamo per questo mondo che è caduto nel male il perdono divino e la misericordia di Dio? Rendiamoci conto, cioè, che se noi siamo consacrati in una Comunità e consacrandoci, abbiamo chiesto alla Vergine di farci "in Lui e per Lui salvatori del mondo e rivelatori del Padre", dobbiamo renderci conto che dobbiamo portare noi a Dio questa umanità, sentirci responsabili di questa salvezza universale, che sarà tanto più reale quanto più in noi crescerà la visione chiara di questo male che imperversa e, nello stesso tempo, la speranza certa, la fiducia assoluta, l'abbandono perfetto alla misericordia di Dio.
Che cosa vi chiedo in modo particolare stasera? Una cosa molto semplice: io innalzerò il Corpo di Cristo come quando fu innalzato sulla croce dai giudei; io innalzerò il Sangue di Cristo sparso per la salvezza del mondo: in quell'atto che io compio, ricordiamoci che Dio ha salvato il mondo, che per quell'atto che io compio, questa salvezza diventa reale, cioè vien applicata agli uomini. Perché quando Gesù salì sulla croce e sparse il suo sangue, in atto primo redense gli uomini, ma in atto secondo non li redime senza il loro consenso. Ora ciascuno di noi, nella misura che è in Cristo, non rappresenta soltanto se stesso; ricordiamoci che ciascuno di noi può essere veramente l'anima del mondo, può essere veramente il cuore dell'universo. Senta Teresa di Gesù Bambino ha potuto ottenere di essere patrona delle missioni pur essendo una povera suora. Così anche noi, ma noi dobbiamo essere più di santa Teresa, perché? Perché, salvatori del mondo, dobbiamo accogliere tutta questa umanità perduta e portarla nelle nostre mani a Dio. Mentre si leverà il calice, mentre si leverà il Corpo e il Sangue di Cristo, abbiamo presentiti tutte le anime, tutta l'umanità, i peccatori più induriti, quelli più lontani da Dio, quelli che lo hanno tradito, quelli che hanno apostatato dalla fede, quelli che lo combattono: tutti solleviamo al Padre, perché Dio abbia pietà di tutti.
La pietà, la misericordia di Dio è tale che, sebbene non possa donare a quelle anime il perdono senza il loro pentimento, può però dare loro il pentimento. Vi ricordate quello che dice Ezechiele? "Io convertirò il loro cuore ed essi si pentiranno". Egli dunque può operare in questa umanità perché ritorni a Lui, perché si penta e sia perdonata: Ecco, noi dobbiamo chiedere questo, per noi prima di tutto, ma poi per tutti i nostri fratelli, per tutto l'universo, per tutta l'umanità: che il Signore converta il cuore degli uomini, li apra a un pentimento sincero e rinnovi la faccia della terra: "Renovabis faciem terrae!".
Questo in fondo ha promesso anche la Madonna; ma lo farà il Signore senza di noi? Questo è il problema. Cioè: è possibile che Dio ora faccia qualche cosa senza l'uomo? No, dal momento che Dio scelse per la salvezza degli uomini l'umanità di Gesù, questa legge rimane ferma per sempre.
Ora l'umanità del Cristo non soffre più, l'umanità del Cristo non vive più questa partecipazione a una passione; la viviamo noi, in noi continua la passione del Cristo, in noi deve continuare anche la preghiera di Gesù che ha detto, morendo sulla croce: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Noi dobbiamo ora assumere il peccato dei nostri fratelli per ottenere da Dio non solo il perdono per noi, il pentimento per noi, ma il pentimento e il perdono per tutti gli uomini.
E allora quello che ha annunciato la Madonna in Iugoslavia avverrà, perché la Madonna ha annunciato questo: che la Chiesa sarà rinnovata e gli uomini vivranno la loro fede cristiana e la loro adesione a Dio come nei tempi più belli della santa Chiesa. Sembra impossibile, sembra un fatto del tutto inimmaginabile, eppure la Madonna lo ha detto. Ma non lo farà senza di noi; siamo noi che dobbiamo portare queste anime al Signore perché ne abbia pietà. Che in noi sia vivo davvero il sentimento di questo peccato immenso, di questa rovina immensa dell'umanità, perché è nella stessa misura che avremo questo sentimento che allora potremo implorare nella speranza e nella misericordia divina questo perdono, questa rinnovazione del mondo.
Ecco, miei cari fratelli, quello che ci chiede in questa Quaresima il Signore. Il Cristo ha assunto il peccato del mondo, il Cristo ora vive in me per assumere il peccato di questo mondo; io debbo essere veramente cosciente, pienamente cosciente di questo male; e siccome siamo solidali con questo mondo, per tutto questo mondo chiediamo pietà, per tutta questa umanità imploriamo il perdono divino, e siamo sicuri che una goccia del sangue di Cristo è sufficiente a salvare mille mondi. Ricordate "Adoro te devote"? Una sola stilla di sangue può liberare il mondo da tutte le scelleratezze e da tutti i peccati. Noi eleveremo il calice del sangue di Gesù: che il Padre lo veda e abbia pietà degli uomini, di noi e di tutti i nostri fratelli.
Prima meditazione ore 9,00
Vorrei dire due parole per sottolineare l'importanza che ha per la Comunità di Biella l'ingresso nell'aspirantato della prima coppia di sposi. È un avvenimento importante, perché non solo arricchisce di numero la Comunità biellese, ma la arricchisce in un modo particolare in ordine precisamente a quella che è la vera fisionomia della nostra Comunità, che deve esprimere la capacità cristiana di trasfigurare non solo tutte le situazioni, ma tutti gli stati di vita; e lo stato di vita che è il più universale tra gli uomini è precisamente il matrimonio. Quindi se non si risana, se non si trasfigura questo istituto, è vano sperare in un rinnovamento del mondo, in una salvezza degli uomini.
È evidente che la vita familiare ha bisogno sempre di un sostegno e anche di un ideale che può essere incarnato da anime che rinunzieranno alla gioia della famiglia, che rinunzieranno a quelli che sono gli istinti fondamentali della nostra natura per vivere la vita contemplativa, la solitudine, una vita di preghiera; però sono poi gli sposi, sono poi le famiglie che costituiscono veramente l'asse portante di tutta l'umanità. Pertanto la santificazione della famiglia come tale si impone alla nostra Comunità come uno dei suoi fini fondamentali. Se foste soltanto delle persone con i voti, quelli che vivono impegnati nella vita familiare nel mondo farebbero presto a emarginarvi: "Avete scelto una vita che in fondo vi relega ai margini della vera vita umana, direbbero, state in pace e lasciateci in pace". Si potrebbero vivere due vite senza nessuna osmosi, senza nessun incontro, mentre quello che abbiamo sempre detto è precisamente questo: noi vediamo una trasfigurazione di tutta l'umanità, che tende a un solo cammino, a questa vita di trasfigurazione in Dio, a quella che è la salvezza escatologica che si propone come fine ultimo per tutti. Se questo è vero bisogna che vi sia veramente una comunione profonda tra coloro che sono più radicati nella vita della natura e quelli che invece, in uno sforzo continuo di ascesi, si propongono di tendere direttamente a Dio in una rinuncia anche a quelle che sono le radici della vita umana: la famiglia, l'amore sensibile, l'impegno anche sociale.
Se dunque noi vogliamo che tutta questa umanità tenda alla perfezione, la Comunità deve avere nel suo seno sia le famiglie, sia le anime consacrate nei voti, sia poi ancora quelle che vivranno nella solitudine, in una preghiera continua il loro dono al Signore; e tute queste forme di vita senza essere divise fra loro, ma in una comunione profonda, perché il fine di tutti rimane sempre uno solo ed è Dio, ed è la libertà dell'anima in una carità perfetta, ed è questa trasfigurazione di tutto l'universo che Dio, nell'Incarnazione del Verbo ha voluto assumere per portarlo nel suo seno stesso.
Detto questo, noi comprendiamo perché oggi la Comunità di Biella aveva anche bisogno di questa presenza. E credo che questa presenza farà bene a tutti voi; vi sentirete più impegnati nei confronti di un mondo che sembra così estraneo ai vostri propositi, alla vostra vita, alla vostra spiritualità, mentre questa presenza rinnoverà l'impegno vostro di consacrazione in ordine non solo alla vostra santificazione, ma a salvezza di tutta quanta la creazione di Dio. Per gli sposi invece è importante la loro unione con voi proprio perché chi vive nel matrimonio potrebbe sentire di più la tentazione di fermarcisi; proprio per la bellezza e la grandezza che ha, la vita familiare tende a divenire qualche cosa di chiuso, come se l'anima avesse raggiunto nella famiglia il suo bene ultimo e chiedesse a Dio soltanto di mantenerle questo bene. Non si va oltre, ed è una certa idolatria dell'amore naturale, dell'amore umano, mentre l'amore umano dovrebbe essere una forza che spinge lo sposo e la sposa e i figli a un cammino ascensionale. Invece molto spesso diviene statico, ed è difficile di fatto nel matrimonio conservare questa tensione verso una ascensione sempre più pura della nostra anima verso la libertà divina. Di qui la necessità che la vita familiare sia sostenuta e portata avanti anche dall'esempio della preghiera, anche dalla presenza di altre rime che nella rinuncia proprio a questa vita familiare non hanno più impedimento a una loro ascesa verso il Signore.
Ecco, questo ho voluto dire per sottolineare l'importanza di questo giorno per la Comunità di Biella: l'ingresso della prima coppia, due anime veramente aperte, veramente tese verso un ideale, direi stimolate da una grazia divina che le spinge sempre oltre, verso un Dio che veramente sempre ci trascende.

E ora incominciamo il nostro ritiro.
Oggi si celebra la prima Domenica di Quaresima. Nella prima Domenica di Quaresima c'è il Vangelo delle tentazioni, il quale sicuramente ha un'importanza eccezionale nell'economia di tutto il Vangelo. Che cos'è stata la vita di Gesù? Che cos'è stata la missione stessa che Gesù ha compiuto nel mondo? Lo dice san Paolo nella Lettera ai Colossesi: il combattimento contro le potenze. Oggi si fa ridere a dire queste cose, non si crede più al demonio, non e vero? Ci sono pochi che vogliono crederci; e invece il Vangelo mette al centro di tutto il mistero cristiano precisamente questo: il mistero di un combattimento del Cristo con le potenze.
Se noi volessimo parlare come molti altri (anche i teologi per modo di dire) diremmo che il demonio è soltanto una figura mitica che rappresenta le tentazioni proprie dell'uomo-creatura, quella forza di inerzia che riporta l'uomo in quel nulla dal quale è stato tratto dalla parola di Dio. Ma se pensassimo questo, il Vangelo non avrebbe più senso, perché Gesù, che era Figlio di Dio, non aveva da combattere certamente nella sua natura contro delle forze che si opponevano a Dio. Se la vita di Gesù è stata veramente una tentazione, un combattimento e una vittoria, contro chi Egli ha combattuto? contro Se stesso? Su chi Egli ha vissuto una sua vittoria? su Se stesso? Allora vuol dire che non era Dio, vuol dire che anche Lui veramente come semplice creatura poteva sentire nella sua natura tutto il peso, tutti i limiti propri della creatura come tale, che per sé, per forza di inerzia, dipende dal nulla dal quale nulla era stata tratta dalla parola onnipotente di Dio. Cioè, se noi dovessimo negare la realtà presente del demonio, non avrebbe più senso il Vangelo; il Vangelo sarebbe puro moralismo, più o meno nobile, più o meno abile, ma niente di più.
Ma la cosa strana e questa: che coloro che hanno rinnegato il demonio oggi lo riaffermano. Se voi prendete certi scrittori meno cristiani o persone che non hanno mai professato il cristianesimo o altre che sono state avversarie del cristianesimo sino alla fine della vita, come il poeta Alberti, voi vedete che la presenza degli angeli - dell'"angelo nero", per esempio, in Montale - è dominante. Cioè, gli uomini di oggi si rendono conto che vi è come una forza misteriosa, una presenza misteriosa, arcana e temibile, nella vita del mondo.
La storia del mondo non si spiega soltanto con cause naturali, come non si spiega con cause naturali la vita di ciascuno di noi, le prove, le difficoltà che si incontrano. Veramente non c'è una spiegazione sul piano della natura, di quello che è il nostro vivere quaggiù, di quello che è la storia dell'umanità.
Ma torniamo al Vangelo di oggi. Noi vediamo che è dominante questa presenza non solo del Cristo, ma del demonio. Nel Vangelo questo è concepito come un affrontamento dalla potenza del bene - Cristo - con la potenza del male: queste ossessioni continue, queste possessioni del demonio che tanti esegeti pensano di dover interpretare come semplici malattie. Siano pure malattie, ma anche le malattie vengono riportate dal Vangelo ad una origine che non è naturale. E che l'origine della malattia non sia naturale lo afferma anche il IV Vangelo, dove appare chiaramente che la malattia è un effetto del peccato; e se è effetto del peccato non è un fatto puramente morale. Di fatto, mediante il peccato l'uomo è diventato schiavo di potenze ostili, di potenze malefiche.
Bisogna renderci conto che la natura non è autonoma. Non c'è autonomia nell'uomo, l'uomo è alle dipendenze di Dio, è una creatura; se si toglie dalla dipendenza da Dio cade nella schiavitù del male, non c'è neutralità. E il cristianesimo, dicevo prima, è concepito dal Vangelo come un affrontamento di queste due forze, e la vita cristiana è concepita sempre, nella tradizione cristiana, come un combattimento. Avete presente uno degli scritti della spiritualità cristiana che fu di una grande efficacia in tutta la spiritualità non soltanto italiana, ma di tutta la Chiesa, "Il combattimento spirituale" dello Scrupoli? Sempre il tema del combattimento è dominante, la vita di quaggiù è sempre un combattimento. Da Giobbe fino a sant'Ignazio di Lojola e a tanti altri, sempre si vede questo affrontamento. E questo affrontamento è il tema dominante anche del Vangelo.
Si diceva prima che se si legge il Vangelo con gli occhi di un razionalista ci si trova di fronte a un linguaggio completamente ridicolo: sempre questi ossessi, il demonio che esce, il demonio che parla... Non è così! Voi non l'avete incontrato mai, probabilmente, e invece è sempre qui presente, sempre vivo, sempre operante; vuole che ci sia veramente questo combattimento, lo dice il Vangelo di oggi. E noi dobbiamo mettere questo Vangelo in rapporto a quello degli ultimi giorni di Gesù, della passione del Cristo, per capire che il Vangelo ha una unità ammirabile di disegno e di dottrina che si esprime precisamente nel tema di un combattimento: si inizia il combattimento con le tentazioni e termina con l'apparente vittoria del maligno, ma di fatto con la vittoria del bene attraverso la Morte di Croce.
Nella prima tentazione il maligno cerca di rendere schiavo di sé Colui che invece doveva debellarlo. La tentazione è l'inizio della vita cristiana. Al termine invece che cosa c'è? Una passione e una morte. È terribile, sapete! Che cosa vuol dire? Vuol dire che la nostra vittoria implica una emarginazione in un mondo retto dal maligno. Alla fine della vita invece Gesù non è più tentato, è come abbandonato alla potenza del male, e il male infierisce sopra di Lui colpendolo precisamente in quelle tre forme che sono le forze stesse della possessione del maligno sull'uomo. Quali sono queste tre forze con le quali il demonio domina l'umanità? Sono la triplice concupiscenza. Gesù vince la triplice concupiscenza. Primo: "Fa' che queste pietre diventino pane", ed è il godimento fisico, ed è il riposo del corpo, ed è la sensualità, vinte in Gesù flagellato, coronato di spine, crocifisso. Nell'oltraggio, nella umiliazione, in Gesù trattato come un re da burla, come pazzo, come l'ultimo, "sono un verme, non uomo", viene vinto il potere dell'orgoglio, l'affermazione di sé, la "concupiscenza degli occhi" come potere per il quale l'uomo si manifesta più che uomo. Vien vinto nel rifiuto ai crocifissori che lo dileggiano - "Se tu sei Figlio di Dio scendi dalla croce" - di fare il miracolo, vince l'abbandono a un Dio che tace; "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", la fedeltà a Dio nella suprema desolazione dello spirito, in questo supremo abbandono che Egli vive da parte del Padre. Alla triplice concupiscenza risponde il rifiuto totale in una fede assoluta in Dio, in un abbandono totale alla divina volontà. Voi vedete dunque come alla triplice tentazione dell'inizio della vita pubblica di Gesù risponde la sua passione; ed è questa risposta un rifiuto assoluto di tutto quello che la tentazione poteva proporre all'umanità di Gesù come affermazione di sé, come una vittoria dell'egoismo umano sulle esigenze di Dio.
Ora vediamo come Gesù ha vissuto, perché Egli è causa esemplare della nostra santificazione: quello che dunque Egli ha vissuto si propone a noi come modello, ma se si propone a noi come modello, dobbiamo vedere come Egli ha vissuto.
Gesù sì è fatto uomo. Questo non ci riguarderebbe direttamente pur rimanendo un grandissimo mistero, se Egli non avesse assunto la nostra natura umana passibile. Che cosa vuol dire "passibile"? Passibile vuol dire che può subire una passione. La natura di Gesù era passibile, perché Egli poteva essere schiaffeggiato, perché poteva sentire la fame, la sete; anche il desiderio di una certa affermazione di sé, questo istinto per il quale ciascuno vuole essere qualcosa; ha voluto assumere la nostra natura passibile e proprio perché era passibile il demonio poteva trovare in Lui un motivo per poterlo tentare.
E adesso Gesù può essere ancora tentato? No, perché non vive più nella natura passibile; dopo che è risorto da morte il demonio non ha più potere alcuno su di Lui. È tremendo quello che dice il Vangelo: "il demonio lo portò..."; il maligno ha potere sull'umanità di Gesù, così che l'umanità di Gesù si trova alla mercé di questo potere satanico. Certo, il demonio non entra nell'intimo suo, certo, il vertice della sua anima rimane fedele al Padre, ma nella sua natura passibile Egli poteva essere tentato. Ecco la prima cosa che noi dobbiamo vedere in Gesù. Tante volte, parlando di Nostro Signore, lo facciamo troppo diverso da noi. Certo che Egli non ha peccato, ma è certo che Egli è stato tentato come noi siamo tentati, perché avendo una natura passibile sentiva non solo la fame, la sete, ecc. ma anche il bisogno di affetto. Certamente ha provato anche la tentazione di un amore umano, che poteva anche sottrarlo alla volontà divina: era un uomo come noi, in tutto uguale a noi tranne nel peccato.
Tu che sei una donna avrai sentito qualche volta il desiderio di sposarti, di poter amare un'altra creatura e trovare in questo amore una tua completezza umana, perché veramente l'amore umano ci completa e ci perfeziona; se tu non lo sentissi non saresti donna. Anche Gesù ha sentito questo, indubbiamente. Per Lui era tentazione perché lo sottraeva alla sua missione, come lo sarebbe per un sacerdote, una suora, una contemplativa, perché evidentemente la risposta a questa missione implica un sottrarsi anche alle esigenze proprie della natura. Gesù non poteva e non doveva sposare proprio perché Egli doveva essere a esclusivo servizio della volontà del Padre; ma se non avesse sentito questo impulso non sarebbe stato uomo, non lo troverei uguale a me; Egli ha sentito questo impulso. Quando il demonio dice "Converti queste pietre in pane", non vuol dire soltanto fare qualche miracoletto che poi può essere una sciocchezza qualunque; implica veramente la liberazione da quell'istinto che porta l'uomo a trovare il riposo nell'amore umano, in una vita che risponda alla esigenza più comune della nostra natura sensibile: mangiare, vivere un rapporto affettivo pieno, tutto questo. Ed è vero anche per noi: è una tentazione, perché quanti sono che invece di Dio preferiscono una donnina o magari due donnine! È così. Quanti invece che in Dio si riposano nell'amore umano, che dovrebbe essere soltanto un aiuto per poi tendere a Dio; non deve fermarci, se ci ferma è la fine per la vita spirituale.
Ecco perché, dicevo prima, il matrimonio di questi due che oggi entrano nell'aspirantato è bello, perché non si sono chiusi a guardarsi l'un l'altro, ma vanno insieme verso il Signore. È questa la cosa bella del matrimonio: deboli come siamo, abbiamo bisogno anche di un sostegno, perché da soli non ce la facciamo, ma se invece il matrimonio ci chiude è la fine della vita spirituale. "Che ci fa nostro Signore? Si sta bene anche senza di Lui!". Non è così che pensa la maggior parte degli uomini? E che cosa avviene allora? Avviene che quando il matrimonio non soddisfa più ci si separa e ci si piglia un'altra donna o un altro uomo.
È la prima tentazione il fermarsi, perché, certo, l'istinto è dato da Dio, ma nell'obbedienza a Dio l'istinto stesso diviene una forza che ti solleva. Se invece ti abbandoni all'istinto e non vivi la vita istintiva in ordine alla vita spirituale, la vita spirituale si affloscia e nell'istinto riposi. Ecco allora questa umanità che si ferma; ed ecco quello che avviene costantemente nel mondo: gli uomini non vanno più in chiesa, le donne hanno da pensare alla famiglia, ci sono i bambini da guardare, non ne sentono più il bisogno. È terribile, perché avviene come una idolatria: quello che è un mezzo di relazione, quello che è un cammino di purificazione, di trasfigurazione dell'essere, diviene invece un fine.
Gesù ha sentito questo. Avete mai pensato che l'avesse sentito? Era un uomo come me, ha voluto incarnarsi, ha voluto assumere una natura umana in tutto uguale alla mia tranne il peccato, ma non è peccaminoso sentire il bisogno dell'affetto, sentir fame, sentirsi bene con la gamba alzata piuttosto che giù. È facile per la nostra natura sensibile riposare su quello che è proporzionato ad essa e queste cose non dobbiamo ripudiarle, però dobbiamo sentirle come mezzo, perché il fine della vita rimane sempre Dio, il fine della vita è sempre un aldilà. Siamo tutti in cammino, non siamo già giunti alla meta; se fossimo giunti alla meta sarebbe una rovina: a vent'anni si sarebbe già raggiunto tutto e poi si vedrebbe la vita pian piano finire, e non vivremo altro che i rimpianti impotenti di una giovinezza che sfiorisce. Perché, quando avrai ottant'anni non sarai più come ora, ma se è un cammino non si va verso il meno ma verso il più. Certo, c'è una purificazione, certo ci sarà una trasfigurazione dell'essere, ma c'è un cammino verso Dio e Dio è l'Infinito. Non c'è per l'uomo una parabola discendente; sul piano della natura umana passibile c'è un decadere, ma il decadere della nostra corporeità è la preparazione, è il seme gettato sotto terra che muore, ma che deve fiorire. La nostra vita tende a un più, non a un meno, non c'è mai un meno.
Nostro Signore ha sentito anche, come tutti lo sentiamo, questo bisogno di affermazione, di affermare noi stessi, perché per ciascuno di noi il fatto stesso che è, il fatto stesso che vive, determina un attaccamento all'essere e al vivere. Attaccamento che implica una difesa, anzitutto contro quello che minaccia, non solo la nostra vita fisica, ma la nostra grandezza e dignità morale; noi vogliamo affermare noi stessi, noi vogliamo essere qualcosa, qualcuno. Si sente l'umiliazione, tante volte, anche sul lavoro, se non hanno riconosciuto quello che hai fatto, se non ti hanno promosso come, secondo giustizia, avrebbero dovuto promuoverti; è naturale per tutti, è una esigenza propria della nostra natura l'affermazione di sé. Ma anche qui c'è il pericolo dell'idolatria. Anche Gesù poteva sentir questo, tanto più che la sua missione lo portava a essere salvatore del mondo; Egli era cosciente di aver avuto questa missione dal Padre, quindi poteva sentire il bisogno di affermare Se stesso perché la sua missione fosse più efficace.
Avete presente il profeta Zaccaria? Nell'ultima parte del suo libro parla del Messia e dice che precisamente sarebbe entrato in Gerusalemme su un mulo bianco, come entra Gesù, perché il mulo bianco rappresenta il trionfo messianico. Anche Assalonne, quando viene proclamato re a Edom, viene con la mula, in trionfo, per essere incoronato. Ora, che cosa dicono i fratelli a Gesù? "Se tu sei quello che dici di essere, vai alla festa". Era la Festa delle Capanne e in quella occasione, secondo Zaccaria, ci sarebbe stata la proclamazione, il riconoscimento del messia. "Mostrati pubblicamente", dicono; e Gesù dice: "Questa non è ancora la mia ora". Rifiuta. Ma è evidente, per il mondo è impossibile pensare che uno possa essere salvatore del mondo, re messianico, e vivere come un operaio, come un mendicante qualunque che gira per le strade della Palestina senza avere nemmeno dove posare il capo. Ecco la tentazione di avere questa manifestazione della sua grandezza. Gesù doveva sentirla perché, umanamente parlando, per realizzare una missione grande si esigono anche dei poteri, delle capacità che si manifestano nella vita sociale, nella vita civile, si esige un riconoscimento pubblico solenne da parte dell'umanità. La tentazione ci doveva essere e Gesù l'ha sentita, perché Egli non era soltanto un re, era re messianico, cioè lo strumento di Dio; Dio l'aveva scelto. Anche Hitler si sentiva scelto dal destino - Dio per lui non esisteva - si sentiva chiamato a chissà quali grandi cose, a rinnovare l'universo; anche Cesare si sentiva chiamato dal destino, sentiva di essere predestinato a grandi cose. Così Gesù: Gesù era sicuro che il Padre l'aveva scelto e il Padre doveva difenderlo. Dicono i giudei ai piedi della croce: "Se sei il Figlio di Dio discendi dalla croce, allora ti crederemo". Ma Gesù non fa servire Dio alla sua vita, non strumentalizza Dio. Egli vivrà la volontà divina nella pura rinuncia a ogni difesa di Sé. Non solo, ma invece del miracolo che cosa vivrà? "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Altro che miracolo! È la desolazione suprema, è la rinunzia a ogni difesa, a ogni protezione, per un abbandono totale a Dio, senza lenimento.
Vedete, c'è una corrispondenza fra la tentazione e la passione, ma nella tentazione c'è l'affrontamento del maligno, che crede di poter entrare in possesso del Signore come è entrato in possesso di tutti gli uomini, mediante il peccato; nella passione invece vediamo come la figura del Cristo emerge nella pura vittoria. La vittoria del Cristo è il rifiuto al male e alla tentazione, è proprio questa rinuncia, è proprio questo fare a meno di tutto per vivere la pura volontà di Dio. "Non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu", questa volontà pura, questa volontà assoluta, questa volontà che per Lui è veramente la morte.
Ecco quello che vuol dirci il Vangelo. La vita di Gesù e stata questo affrontamento. Egli, uomo perfetto, fu tentato tutta la vita; tutta la sua vita fu tentazione. Tentazione su tutti i piani dell'essere umano, secondo gli istinti propri della nostra natura, che sono istinti naturali.
È molto importante per noi considerare che Gesù non ha vissuto una vita diversa dalla nostra; ha vissuto una risposta diversa da quella che noi diamo al Signore, ma non una vita diversa. Dobbiamo renderci conto che Nostro Signore è il modello della vita cristiana, non solo in quanto è stato tentato, ma dev'essere modello per noi anche in quanto Egli ha vinto; e pertanto una meditazione della vita di Gesù in quanto è combattimento contro le potenze si impone a noi per capire che è questo il nostro vivere e come dobbiamo vivere e come dobbiamo combattere. Come dicevo prima, gli istinti fondamentali della nostra natura in fondo sono sempre gli stessi, e noi della Comunità dobbiamo non solo renderei conto di questi istinti, ma renderci conto che per sé sono cose sane, volute da Dio come mezzo di santificazione, ma in realtà, dopo il peccato, rappresentano sempre un certo pericolo. Dobbiamo stare attenti perché questi istinti non prevalgano; devono essere a servizio della volontà, non piegare la volontà a se stessi; devono essere mezzo al nostro spirito, non rendere schiavo lo spirito, perché, voi lo sapete, il processo dell'anima verso Dio è processo di spiritualizzazione, non può essere un processo, come ci insegna Dante nell'Inferno, di imbestiamento. Che cosa avviene nell'Inferno dantesco? Precisamente questo: lo spirito umano, che sempre più protende verso il basso, diviene schiavo delle potenze sensibili. Invece nella vita spirituale questi istinti sono forze che devono dare potenza alla volontà, la quale deve avere il primato sempre; ma lo spirito umano deve avere il primato in quanto si assoggetta a Dio; non in quanto afferma se stesso, ma in quanto tende a Lui e vive la sua volontà. Questo è il cammino; gli istinti servono a questa volontà tesa verso Dio.
I santi sono dei passionali; se non fossero dei passionali non sarebbero santi. Diceva un padre del deserto: "Se io non mi fossi dedicato a Dio non mi sarebbero bastate venti donne". Ed era un padre del deserto! Ma è vero, il santo non potrebbe essere santo se non fosse un passionale; i frigidi - lo dice anche Dante - non sono nemmeno degni di stare all'inferno perché "non furon mai vivi", non possono andare né in paradiso né all'inferno. Lo dice anche l'Apocalisse: "Perché non sei né caldo né freddo ti rivomito dalla mia bocca". È chiaro, i santi sono degli esseri passionali non potrebbero mai contentarsi di nulla, ma proprio per questo scelgono Dio. Vivere la vita spirituale non vuol dire vivere una vita meno ricca, meno potente, meno grande: vuol dire vivere una vita immensamente più potente, più viva, più forte di una vita umana, compresa quella di chi raggiunge le cariche più importanti nella vita.
La vita religiosa non è meno, è di più, soltanto è un "più" che sfugge all'esperienza naturale, così che uno può credere di vivere una vita più ricca se ha la moglie poi tre o quattro amanti, poi vive una vita disordinata... No, non posso credere che viva una vita più ricca. Quanto è più ricca la vita di una vera famiglia cristiana, il dono. totale di sé all'altro che rappresenta il dono del Cristo alla Chiesa e della Chiesa a Cristo! E poi, com'è più grande, per esempio, la vita di santa Teresa di Gesù! Sapete che perfino degli atei, perfino degli uomini contrarissimi al cristianesimo erano ammirati della vita di questa santa, che ha vissuto una vita così consumata dall'amore che non si capisce come abbia fatto a vivere. Che cos'è la vita di amore che ha potuto vivere un uomo o una donna nei confronti di questi santi? Pensate a san Francesco che vive questa dedizione a Dio in tal modo da non sentire più bisogno di nulla, né di mangiare, né di dormire, talmente era preso da questo amore. Quando due sposi si amano non sentono se sono poveri o ricchi, nel loro amore trovano la loro felicità e la loro ricchezza più vera, e così in tutto. La vita cristiana non è un "di meno", è un "di più" sul piano spirituale.
Gli istinti dunque sono una grande cosa, ma se rispondono a questa volontà divina, se noi veramente viviamo in dipendenza da Dio, perché se noi non viviamo in dipendenza da Dio, l'abbandono agli istinti è una prostituzione della nostra natura, è un decadere dell'essere nostro, è una umiliazione dell'uomo.
Ora è questo che ci dice proprio il Vangelo delle tentazioni di Gesù; dobbiamo sentire che c'è in questi nostri tre istinti sempre una sollecitazione a una ascensione a Dio o invece la tentazione a un decadere, a scegliere il bene sensibile invece del bene spirituale, a opporre il bene sensibile al bene spirituale, a scegliere se stessi invece di Dio, all'affermazione di sé contro Dio, oppure a pretendere che Dio serva al tuo orgoglio. Ma se invece ti liberi dalla tentazione, quale forza è la tua violenza di amore! La violenza dell'istinto sessuale diviene una forza che ti solleva in un modo mirabile verso Dio. L'istinto non è negato, viene invece raggiunto quello che l'istinto vuole attraverso la pura obbedienza a Dio.
Quello che dice Gesù nel Vangelo "Non sono venuto per essere servito ma per servire", non riguarda soltanto gli uomini, riguarda anche il Padre suo: Egli non ha mai preteso che il Padre lo servisse, non ha chiesto mai miracoli per Sé, ma Lui ha servito il Padre e lo ha servito in tal modo che tutte le sue potenze sono state così a servizio della volontà divina da essere Lui oppresso, calpestato, per servire a questa divina volontà.
Vedete dunque come il Vangelo di oggi sia molto importante per la vita cristiana: ci dice quello che è stata la vita di Gesù, quello che è stato il Cristo come esemplare della nostra vita, e ci dice anche come noi dobbiamo vivere questa medesima vita come modello della vita nostra.
Omelia ore 11,00
Il Vangelo delle tentazioni di Gesù ci riguarda in un modo specialissimo perché se il mistero cristiano è il combattimento di Dio contro le potenze, e delle potenze del maligno contro Dio, è evidente che questo combattimento non si svolge nei cieli - il demonio non può entrare nei cieli - ma si svolge quaggiù sulla terra, e il campo di battaglia è il cuore dell'uomo, di ogni uomo, è il mondo umano in generale.
Di qui viene che noi dobbiamo avere la consapevolezza che la vita cristiana non è soltanto un impegno morale a essere più buoni. Troppo spesso si identifica la vita religiosa a un impegno morale. L'impegno morale è sul piano della natura, ma sul piano di grazia, sul piano soprannaturale, dobbiamo renderci conto che la realtà è ben diversa, o almeno è più profonda e più drammatica: è lo scontro fra il maligno e Dio che avviene nella persona, luogo del combattimento, nella persona del Figlio di Dio, di cui noi siamo il corpo. Dio in noi continua dunque quello che è l'essenza del cristianesimo: il mistero del Cristo, il combattimento del Cristo contro il demonio e del demonio contro Dio.
Detto questo si impone per noi una nuova visione del cristianesimo, perché una visione moralistica può essere valida per un filosofo che non conosce la vera realtà, ma per noi la vera realtà è cercare di sottrarci alla suggestione del maligno e di vivere la nostra dipendenza da Dio e dallo Spirito Santo.
Che vuol dire tutto questo? Vuol dire che noi dobbiamo avere la percezione netta, chiara, viva, drammatica che noi viviamo o una dipendenza dallo Spirito Santo che vive in noi, che ci ispira, che ci guida, che ci porta, oppure è il demonio che ha potere su di noi, sulla nostra fantasia, sulla nostra immaginazione, sui nostri sensi e, se noi consentiamo, anche sulla nostra volontà. Se consentiamo, allora c'è il peccato; quando la nostra volontà dipende dal maligno c'è già uno stato di peccato. Però, anche quando non c'è peccato, la nostra immaginazione non e mai preservata dall'essere turbata, suggestionata dal maligno, e così pure gli altri sensi interni: la fantasia, l'immaginazione, il sentimento. Noi siamo sempre più o meno soggetti all'azione del maligno, ed è tremendo pensarlo! Crediamo di vivere la nostra vita, crediamo di essere liberi, di essere autonomi in tutto quello che pensiamo, in tutto quello che sentiamo, e invece nulla! O dipendiamo da Dio e subiamo la sua azione, o senza accorgercene tante volte subiamo l'azione del maligno. E quando non ce ne accorgiamo è più facile il nostro acconsentimento, il nostro abbandono a certe suggestioni, a certe immaginazioni che consentono non solo la sensualità, ma l'odio, il risentimento, l'ambizione, l'orgoglio.
Voi capite di qui come e drammatica la vita cristiana: tu non puoi agire che in quanto Dio agisce in te - l'abbandono a Dio - o in quanto il demonio agisce in te - l'abbandono al diavolo -. Sentirci schiavi, ecco la situazione dell'uomo: schiavi del maligno o schiavi di Dio. Vedete, io sono stato a dare la mia testimonianza per la beatificazione del Cardinale Dalla Costa: sapete come si parlava di questo Cardinale? "Il servo di Dio". I Cardinali sono Cardinali quando sono vivi, ma quando sono morti quello che rimane è la dipendenza da Dio: "servi di Dio". Servi di Dio siete voi, servo di Dio sono io nella misura che ci sottraiamo alla schiavitù del maligno, perché non abbiamo mai una nostra autonomia assoluta: o siamo al servizio di Dio o siamo al servizio del maligno.
È quello che ci insegna sant'Ignazio di Lojola nei suoi "Esercizi spirituali": l'umanità è divisa in due: c'è l'esercito di coloro che sono al servizio di Dio, e sant'Ignazio ci dice anche chi sono quelli che sono al servizio di Dio: gli straccioni, gli umili, i poveri, quelle persone che sul piano del mondo non contano per niente; poi ci sono quelli che sono al servizio del maligno: i ricchi, i potenti, gli orgogliosi, quelli che stanno bene, quelli che credono di avere il mondo in mano. Qui tra voi non ci sono deputati o presidenti, siete povera gente, tutti siamo povera gente. Essere al servizio di Dio non vuol dire far fortuna nel mondo, né sul piano della ricchezza, né sul piano del potere. Sì, qualcuno forse emerge, ma è male che emerga, perché uno che anche può essere un santo, se lo fanno deputato perde anche la fede, o se non perde la fede, viene a dei compromessi con il potere politico, con il potere economico e non è più sicuro della sua fede.
Cos'era Gesù? Non era nessuno. Agli occhi degli uomini del suo, tempo non era né sacerdote, né il capo della organizzazione civile o giuridica dello Stato... chi era? Non aveva nessuno, non aveva una sua famiglia, aveva abbandonato la madre, ed ecco si trovava solo. Lo seguivano molti, ma non era nemmeno uno scriba che fosse stato alla scuola dei sapienti. Eppure si meravigliavano perché parlava con autorità. Quelli che sono veramente cristiani sono più o meno sempre così; sul piano sociale non contano, ma contano nel piano di Dio, perché dipendono esclusivamente dal Signore. Non dobbiamo credere che essere felici voglia dire avere assicurata la salute, la vita, la ricchezza, niente. Dio ci assicura Se stesso: ci basta. Non crediamo che essere al servizio di Dio voglia dire avere un buono stipendio; lo stipendio nostro Signore lo dà, ma come si fa a capire lo stipendio del Signore in questa umiltà della nostra condizione umana, in questo silenzio in cui ci lascia? Si capisce nel cuore, nella gioia di sentirci amati da Lui, nel sentire che siamo al suo seguito. "Ecco che noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo seguito": ecco quelli che sono nell'esercito del Signore. Ed è questo precisamente che distingue la vita cristiana. L'essere buoni no, l'essere buoni è una conseguenza; quello che distingue il cristiano è essere alla sequela del Cristo, è la comunione con Lui, il sentirsi amati da Lui, è amare Lui e vivere con Lui come gli apostoli: lo vedono e abbandonano tutto, la famiglia, il lavoro, sono come affascinati, hanno perso la testa! Matteo era esattore, e a quel tempo gli esattori erano molto ricchi: ebbene, lascia tutto per mettersi al seguito di questo Maestro che non aveva nemmeno una casa; avendo seguito Gesù perdeva ogni sua ricchezza, non solo, ma aveva la prospettiva di essere trattato come era stato trattato Gesù, e infatti anche Matteo morì martire.
Guardate un po' che roba, essere cristiani! Non vi sembra che sia una bella disdetta? Ma essere al seguito del Signore vuol dire questo. L'unica cosa che il Signore ci assicura è di essere con Lui e che Lui è con noi; poi ci darà quello che ci è necessario per vivere questa comunione con Lui, ma non di più. Non crediate che sul piano umano ci sia molto da sperare, c'è da sperare quello che ci è necessario, quello che è mezzo per seguire il Signore; questo il Signore ce lo dà, non quello che è superfluo e ci impedisce di camminare; bisogna che il Signore ci spogli perché noi possiamo correre incontro a Lui. Ciò che non è un mezzo è un impedimento; ecco perché seguire Gesù non vuol dire fare fortuna nel mondo. Invece il demonio cosa fa? Ci tenta; ci tenta nella ricchezza, nel piacere, nell'ambizione. È abilissimo nel tentarci: a un bel giovane che ha molte speranze davanti a sé promette la ricchezza, a un altro promette il successo umano, a un altro una vita comoda; e nella misura che il demonio promette queste cose, l'uomo che cosa fa? Non serve più Dio, ma si mette a servizio della propria concupiscenza, della propria ambizione, della propria avidità di potere.
Bisogna stare attenti, perché quando voi siete tentati e cercate non Dio ma queste cose, il Signore ve le darà prima o dopo, perché se proprio volete abbandonarlo, vi permette di farlo. Dio ci ha lasciato la libertà e ci chiede: "Cosa vuoi? Seguire me o andare per la via larga che porta alla perdizione?". E se tu scegli la via larga, essa ti porta alla perdizione, perché è una vita di piacere, di ricchezza, di ambizione, di potere; e tu credi di essere come prima, ma non sei più come prima; credi di aver conseguito chissà che cosa, credi che veramente la tua vita abbia avuto un successo, ma quale successo? Hai perso Dio, e che cosa possiedi? Un pugno di mosche! Tu apri la mano e che cosa ti trovi? Più nulla!
Ricordiamoci l'insegnamento di sant'Ignazio di Lojola: dobbiamo avere "tanto quanto" ci è necessario per seguire il Signore. Evidentemente il "tanto quanto" non è uguale per tutti: per san Francesco voleva dire non possedere nulla, invece per san Giovanni Bosco il "tanto quanto" voleva dire avere tutti i palazzi perché li metteva al servizio di Dio adoperandoli per l'educazione dei ragazzi; erano un mezzo. Anche Don Orione aveva ville e palazzi ovunque ed era la sua pena terribile andare a morire in una villa che lui aveva donata per i nobili decaduti; l'ha fatto per obbedienza, ma lui voleva morire fra i poveri e i diseredati; questa sarebbe stata la sua gioia. Un giorno ricevette una lettera da un suo amico Cardinale che gli diceva: "Io spero che don Orione rimanga sempre Don Orione, che non si attacchi alla ricchezza, al successo". L'amico infatti sapeva che tutti lo volevano, che andava di qua e di là e temeva che si attaccasse ai soldi. Don Orione leggendo quella lettera si mise a ridere e disse: "Ricco io che non ho nemmeno le scarpe sane!". E di fatto aveva solo un paio di scarpe e non le portava dal calzolaio perché non sapeva cosa mettere per uscire. I soldi che riceveva erano tutti per i poveri.
"Tanto quanto": dobbiamo capirlo che la vita cristiana è questa. Non illudetevi, perché seguire Gesù vuol dire avere Dio e Dio, tu lo sai bene, è il nulla di tutto. L'altro ti dà tutto purché tu gli dia la tua anima; ti dà la ricchezza, ti dà gli onori, ti dà il potere, ma gli devi dare in cambio l'anima tua. Ed è questo il dramma della vita quaggiù sulla terra: molti sono tentati e consentono, perché in noi vi è la triplice concupiscenza, cioè un certo desiderio di star bene, di essere ricchi, di essere onorati e di avere il potere. Il maligno sa prenderci con la sua arma, e quando, nonostante tutto, nostro Signore ci preserva da queste tentazioni, noi tante volte non ne siamo contenti; rimpiangiamo di non essere ricchi, di non avere il potere, e non sappiamo quale dono Dio ci ha fatto col non darci quello che avremmo desiderato. Non ce ne rendiamo conto perché appunto noi trasformiamo il cristianesimo in un fatto morale e non vediamo che è un dramma lo scontro tra il bene e il male. E il peggio è che il male non è male per ogni cosa, perché allora non lo seguiremmo, è male nei riguardi di Dio, ma è bene, almeno un bene parziale, per quanto riguarda la nostra natura umana. Infatti sul piano umano è meglio essere sani che malati, essere ricchi che poveri, ed è evidente che il maligno si attacca a questi uncini, perché nella nostra natura c'è una protezione naturale, l'annientamento di sé nessuno lo vuole, ma si vuole un bene come alternativa a Dio; ecco la tentazione. Quando si mette sulla bilancia Dio e la ricchezza, Dio e il piacere, Dio e il potere, la nostra concupiscenza ci porta a scegliere queste cose piuttosto che Dio, perché siamo delle creature umane, perciò sentiamo l'istinto di star bene e di affermare la nostra grandezza. Quante volte si sceglie il potere invece di Dio, la ricchezza invece di Dio!
Proprio in forza del peccato originale noi viviamo questa triplice concupiscenza che ci porta a considerare il successo mondano più che Dio; ma proprio per questo dobbiamo renderci conto che la tentazione non è un fatto estraneo alla vita dell'uomo e nemmeno un fatto infrequente nella vita dell'uomo sopra la terra. Lo dice la Sacra Scrittura: la vita dell'uomo quaggiù sulla terra è una continua lotta. Il maligno non ci abbandona con tanta facilità, usa sempre del suo potere sulle nostre immaginazioni, sui nostri desideri, sui nostri rimpianti, per riprenderci.
Miei cari fratelli, come faremo a salvarci? Dobbiamo renderci conto di quello che ha detto Gesù: "Questo è impossibile agli uomini, ma tutto è possibile a Dio". Ma come faremo a salvarci? io vi chiedo una cosa sola, ed è quella che il Signore ci ha chiesto: amare Dio. Perché, vedete, quando un ragazzo ama una ragazza perde la testa, è così quando si ama davvero; è così, quando si ama davvero Dio, le altre cose non contano, perdono il loro valore. E io vi chiedo una cosa sola: che Dio sia vivo per voi, che Dio sia reale per voi, per noi, per me, perché anch'io sono tentato, forse più di voi e bisogna che mi renda conto che l'unica cosa che mi può salvare è amare molto il Signore. Bisogna che a noi prema di più il Signore di tutte le altre cose: più della salute, della ricchezza, del successo mondano, più che l'amore umano. Dio prima di tutto, Dio soprattutto.
Bisogna imparare ad amare Dio, tutto qui; imparare ad amare Dio, vivere veramente questo amore per Lui in tal modo che in Dio troviamo ogni nostro bene, come dice il salmo 72: "Il mio bene è stare vicino a Dio". Non cercare di avere consensi, di avere successo: solo aderire a Dio, solo l'unione con Lui, questa è la cosa più importante, la vera cosa importante. Che cosa ce ne facciamo di tutte le altre cose quando non amiamo Dio, quando Dio non è il nostro bene? Questo soltanto ci libera dalle tentazioni, perché allora un amore più grande ci spoglia, ci libera dall'attaccamento alle cose presenti che possono sollecitare il nostro orgoglio e la nostra sensibilità, cioè gli istinti propri della concupiscenza, "la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, la superbia della vita", come dice san Giovanni. Allora potremo, come san Francesco d'Assisi, trovare la perfetta letizia anche se ci bastonano, trovare la nostra gioia soltanto nell'essere di Dio, nell'appartenere a Lui, perché nulla potrebbe darci il mondo che possa paragonarsi al dono che Dio ci fa di Se stesso.
Vivere la nostra vita cristiana vuol dire questo, vuol dire vivere nell'intimità con Gesù, sentire che Gesù è con noi, sentire che Egli ci ama e noi a nostra volta riamarlo, vivere questa comunione di amore e non solo per noi ma anche per i nostri figli. Tante volte uno per sé rinunzia a tante cose, ma non vuole che vi rinunzino i figli; magari un genitore può accontentarsi anche di quello che è, ma sente di trionfare nel figlio che ha un buon successo, un buon impiego, un buono stipendio... No, figlioli! Desiderate per voi e per tutti quelli che amate, prima di tutto questa fedeltà al Signore, questo essere in Dio, essere con Lui. Se è vero per noi che il bene massimo è Dio, dobbiamo considerare anche che lo sia per quelli che amiamo, che veramente l'anima nostra trovi nell'amore di Dio l'antidoto ad ogni tentazione, che l'amore di Dio per noi ci salvi dal consentimento al male, e che l'amore di Dio sia talmente grande in noi, da desiderarlo anche per gli altri.
Vedete, vi parlo con semplicità, vi dico delle cose che sapete, però il saperle è una cosa e il viverle è un'altra. Io vi dico questo: non importa che facciate dei grandi discorsi e che ascoltiate tante parole, ma che io e voi siamo sinceri nello scegliere Dio. Infatti l'abbiamo scelto. Che cosa avete detto quando vi siete consacrati al Signore? "Cerco Dio solo". Abbiamo cercato Dio solo? Dio è veramente per noi tutta la ricchezza, tutto l'amore? Se lo è, ringraziamolo e chiediamogli che lo sia sempre di più. Le parole più grandi della Consacrazione sono queste: "Vuoi seguire Gesù fino alla morte di croce? - Lo voglio". Però anche in questo caso bisogna sapere dire di sì. Se lo seguiamo c'è Lui prima. Seguire non vuol dire andare avanti, vuol dire seguirlo, e allora penserà Lui a portarci, penserà Lui a darci la forza. Però che cosa abbiamo detto quando abbiamo detto queste parole? Abbiamo detto questo: che la nostra consacrazione a Dio implica una scelta assoluta di Dio nonostante tutto, attraverso tutto, indipendentemente da ogni successo: Lui solo.
Ecco in che modo noi ci salviamo dalla tentazione, perché quando scegliamo qualche altra cosa non scegliamo più Dio. "Voglio Dio, sì, ma anche quest'altro". Questo "altro" esclude Dio, perché non si può mettere l'Infinito accanto a qualche altra cosa; o la scelta di Dio è una scelta assoluta, o se no, non è la scelta di Dio, perché non puoi scegliere l'Infinito più non so che cosa. Quando si sceglie Dio si sceglie Lui solo. Non è che sia una grande rinunzia dire "scelgo Dio solo": se scegli Dio lo cerchi sempre, perché Egli è l'Unico; "Ascolta, Israele, il Signore e nostro Dio, il Signore è uno solo". Non c'è qualche altra cosa con Lui; in Lui sì, ma con Lui no, perché non si aggiunge mai nessuna cosa a Dio.
Ecco, bisogna vivere questo, viverlo in tutta umiltà, viverlo soprattutto con sincerità, senza illuderci dei propri sentimenti, ma guardando unicamente, sinceramente dentro di sé se veramente siamo sinceri; e se lo siamo ringraziamo il Signore, perché questa è la grazia più grande che Dio ci possa fare. Qualunque cosa il Signore ci doni, se non ci dona questo non ci ha donato nulla, perché non ci ha donato Se stesso. Ecco in che modo noi siamo i servi di Dio, in che modo noi viviamo il combattimento contro le potenze. Diceva san Gregorio Magno: "Se tu devi lottare (pensava ai lottatori antichi) non puoi farlo con i vestiti, i lottatori vanno nudi; bisogna essere liberi nei movimenti". Chi vuole combattere le battaglie di Dio bisogna che sia nudo, libero da tutti gli attaccamenti per attaccarsi a Dio solo.
Questo mi sembra che ci dica il Signore in questo Vangelo delle tentazioni di Gesù; sentire che tutta la nostra vita è questo combattimento, ma sentire che in questo combattimento noi vivremo questa liberazione da tutto quello che Dio non è. Bisogna essere disposti davvero a cercare Lui solo. Di fatto, quand'è che vediamo che Gesù ha riportato una vittoria definitiva sul maligno? Quando è stato spogliato di tutto, dell'affetto dei discepoli, della presenza del Padre, delle sue vesti, di tutto; e, martoriato, crocifisso, vilipeso, abbandonato dal Padre, ha potuto gridare nella sua solitudine estrema: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" Allora ha vinto.
Diceva Dante Alighieri che l'unica cosa che ha seguito Gesù fin sulla croce è stata la povertà; l'unica, nemmeno la Madonna, perché la Madonna stette ai piedi della croce, ma la povertà salì con Lui. Ecco in che modo veramente noi possiamo seguire Gesù! attraverso questa povertà. Ed è in questa povertà che Gesù ha vinto, perché ha scelto la volontà di Dio; ed era solo: solo nell'abbandono dei discepoli, solo nell'oltraggio, solo nella morte di croce, solo nell'abbandono del Padre: "Si faccia la tua volontà". Ecco la vittoria.
Noi siamo delle povere anime. Non dobbiamo avere troppa paura, perché Dio ci tratta da quelle povere anime che siamo. Non credo che noi siamo chiamati a vivere la crocifissione come Gesù; però qualche volta questa crocifissione tutti la viviamo, se siamo con Lui, tutti la viviamo e dobbiamo ringraziarne Dio. Non dobbiamo fare tanti piagnistei: è una grazia; eppure tante volte ci si lamenta con Dio mentre dovremmo ringraziarlo se ci conduce per questa via, una via di spogliamento che rende più sincera la nostra adesione al Signore. Di questo ringraziava Dio san Paolo a nome dei fedeli di Corinto. Erano povera gente, insignificante, spregevole nei confronti dei potenti del mondo, ma Dio aveva scelto questa gente spregevole per seguirlo; aveva scelto gli schiavi, non i potenti, gli schiavi che invece di ammazzare accettavano il martirio. Questa è la vera sequela del Cristo, e noi la vivremo se ameremo Dio; in questa povertà estrema noi vivremo la gioia.
La tentazione implica per noi o un consentimento o la vittoria. Il consentimento è abbandonarci al gusto della ricchezza, al piacere, al potere del mondo; la vittoria è cercare Dio solo, è mantenerci fedeli a Lui nella "sequela Christi", ovunque Egli ci porterà. Può portarci dove vuole Lui; comunque non è essere deputato che conta, non è per me essere Papa che conta, quello che conta è essere l'amico di Dio, essere unito a Lui, amare Lui, Lui solo. La nostra ricchezza vera è in Dio. Vivere nell'unione con Dio la nostra gioia più perfetta, vivere nell'unione con Dio la nostra grandezza vera. Ecco, miei cari fratelli, quello che ci insegna oggi il Vangelo. È bello, no? Non abbiate paura, però! Non dobbiamo avere paura: è Dio che ci ha detto di fare questa via, perciò non guardate la via, guardate Lui; e se guardate Lui sarete così affascinati dalla sua bellezza che non vi importerà di camminare anche sui carboni ardenti, non vi parrà vero anche di camminare sull'acqua, purché guardiate Lui; se lo guardate veramente andrete in estasi e non vedrete più dove andate, vivrete soltanto questa ebbrezza e questa gioia di vivere l'amore che vi lega al Signore. Ecco perché san Francesco può dire "Quivi è perfetta letizia": non le bastonate erano cosa piacevole, ma era talmente preso dal Signore e talmente viveva in Lui che tutto si risolveva per lui in pura gioia. Era sempre in unione col Cristo.
Vivere questa unione: Egli è con noi! Lo pensate davvero? Credete davvero che Gesù sia presente sempre nella nostra vita, che Gesù sia davvero la nostra pura e perfetta gioia? No, non ci crediamo! Qui è proprio l'incredibile: non ci crediamo. Effettivamente, dobbiamo rendercene conto, non è che noi dobbiamo rimproverarcene troppo, è che la nostra natura umana, dopo il peccato originale, è quasi invincibilmente tentata, perciò non è detto che ci sia sempre il nostro consenso, perché oltre tutto Dio non ce lo impedisce. Il Signore ti costringe qualche volta, ma la costrizione che il Signore ci impone, diviene per noi un motivo per aderire a Lui; tu fai la sua volontà, non ti ribelli. Dicevo prima che è quasi impossibile salvarci, ma a Dio tutto è possibile. Noi siamo deboli, fragili, siamo tentati continuamente da una vita facile, comoda, da una vita di ricchezza, di consensi umani, di successi umani, ma il Signore non ce ne dà e allora che cosa avviene? Che qualcuno si ribella, sì, ma la maggior parte no: prima pian piano, con rassegnazione, poi con una certa pazienza, con una certa serenità, poi finalmente con una certa gioia ci si arriva: l'anima si adatta e queste cose perdono per noi il loro fulgore, la loro luce.
Ma è una cosa importante, questa, perché sul piano cristiano in fondo non c'è nemmeno rimpianto. Il cristiano ormai accetta la sua vita con tutto ciò che si presenta, accetta con una certa serenità, con una certa pace; dalla pace poi si passa a una certa gioia intima e segreta. La grazia divina deve trasformare gli automatismi della nostra natura, e questo esige un lungo tempo. Ecco perché è una grazia invecchiare: perché veramente, da giovani, se non c'è una grazia potente non c'è questa capacità per noi di saper accettare; invece pian piano il Signore ci trasforma, ci dona la pace e ci dona anche la gioia in questo venir meno di tutto.
Comunque, ricordatelo, non è detto che i beni terreni non siano beni; divengono un male quando divengono una alternativa a Dio, quando cessano di essere un mezzo. Per tutti si impone questo: che nessuna cosa sia alternativa a Dio. La scelta di Dio deve essere la scelta unica e assoluta; poi il Signore ci dà quanto ci è necessario: se uno ha bisogno di essere sano, perché altrimenti perderebbe le staffe, gli dà la sanità; se un altro ha bisogno anche di un certo potere come mezzo per l'esercizio di un apostolato, gli darà i mezzi per farlo. Finché i beni di quaggiù sono un mezzo non è detto che siano un male, perché servono per vivere questa "sequela Christi". Questo è vero anche per i vostri figli: nella misura che sarà un mezzo per loro avere una buona sistemazione sul piano professionale, dovete desiderarlo e chiederlo a Dio, ma solo nella misura che è un mezzo, perché se non è così è meglio che restino come sono. Questo dobbiamo capirlo, altrimenti rimproveriamo Dio perché non ci dà quello che noi chiediamo, perché ci crediamo più sapienti di Lui. Lui solo sa per quale via possiamo giungere a Lui e siccome noi non lo sappiamo, umanamente parlando dobbiamo chiederlo rimettendoci alla sua sapienza, perché nella sua sapienza Dio vede se è bene che noi abbiamo il successo umano oppure no. E molto spesso il Signore non concede ai cristiani il successo, ed è questa una grazia divina; Egli dà quel successo che è necessario per l'esercizio proprio della vita cristiana, perché possano fare del bene, ma se nella sua sapienza infinita il Signore vede che quello che noi giudichiamo un mezzo diviene per noi e per gli altri un impedimento a restar fedeli a Lui, non ce lo dona e noi dobbiamo rimetterci alla sua sapienza infinita. Perché, miei cari fratelli, è una cosa molto semplice: nessuna mamma ama i suoi figli come Dio ama ciascuno di noi, e perciò nessuno potrà amare con maggior amore i propri, figli di quanto non li ami Dio.
Rimettiamoci a Lui per noi e per gli altri. Preghiamo, preghiamo con umiltà, con insistenza, secondo quella luce che il Signore ci dona, ma viviamo questo puro abbandono alla sua volontà che sola conosce le vie perché noi giungiamo alla realizzazione piena del nostro cammino, della nostra vita.
Seconda meditazione ore 15,00
Come vi ho detto stamani, quello di oggi è un Vangelo programmatico: dice tutta la vita di Gesù, tutto il mistero del cristianesimo come affrontamento del maligno che è il "principe di questo mondo". Non è soltanto la prima Lettera di Giovanni che afferma che tutto il mondo è soggetto al maligno, è anche il Vangelo della tentazione. Nel Vangelo di Luca infatti le parole del maligno suonano così: "Tutti questi regni sono miei io li do a chi voglio; se tu prostrato mi adorerai, saranno tuoi". Il mistero cristiano è l'affrontamento del bene e del male, ma il bene e il male non sono dei valori impersonali: si ipostatizzano nella persona di un Dio fatto carne e del maligno.
Nella meditazione precedente noi abbiamo visto che il Vangelo della tentazione non solo è programmatico nei riguardi della vita del Cristo, ma trova il suo compimento nella passione stessa di Gesù. In questo Vangelo che abbiamo letto ora, c'è la proposta di Satana a Cristo, non c'è ancora la risposta piena; la vittoria piena di Gesù sarà proprio nella passione; ed ecco che invece del pane, invece di quello che risponde alla nostra natura sensibile, vi sarà la crocifissione, la flagellazione, la coronazione di spine, i tormenti del suo corpo, calpestato dall'odio del mondo. In risposta all'offerta di un potere sul mondo vi sarà invece l'umiliazione suprema, la morte da schiavo sulla croce, l'oltraggio di tutta la moltitudine che ne vorrà la morte. Nei confronti del miracolo, cioè di un Messia che vuole Dio al suo servizio per la propria gloria, vi sarà invece l'abbandono del Padre. E sembrerà che il maligno abbia vinto, e sembrerà che il maligno veramente abbia il potere totale su di Lui. "Questa è l'ora delle tenebre", dirà Gesù nel Vangelo di Giovanni, ma è anche l'ora del Figlio dell'uomo. Lo scontro avviene precisamente in questo atto in cui sembrerà, sì, vincere il maligno, ma di fatto, invece, sotto l'apparenza della vittoria sua, ci sarà la vittoria del Cristo nella obbedienza assoluta, umile e suprema alla volontà del Padre.
Ma se vi è una corrispondenza fra il Vangelo della tentazione e la passione di Gesù, vi è anche una perfetta corrispondenza fra la pagina della Genesi che si è letta ora e il Vangelo delle tentazioni. Perché? Come si presenta la tentazione di Adamo e come Adamo soccombe? Nello stesso modo come si è presentata a Gesù, perché l'uomo può essere tentato soltanto in quelli che sono gli istinti della sua natura, istinti che possono essere a servizio di una volontà che vive l'obbedienza al Padre, ma possono essere invece a servizio di quell'egoismo metafisico che è proprio della creatura e per il quale la creatura pretende tutto per sé, per la sua natura sensibile e per la sua natura spirituale: per la sua natura sensibile il piacere, per la sua natura spirituale l'affermazione di sé nell'orgoglio. Ora è precisamente questa la tentazione di Adamo: mangiare il frutto che era bello a vedersi, ed anche mangiare il frutto per divenire simile a Dio, l'orgoglio supremo di mettersi come alternativa a Dio stesso. Ed è la stessa tentazione che sarà quella del Cristo, nuovo Adamo. Adamo nel giardino dell'Eden dove Dio lo aveva posto, Gesù nel deserto, perché dopo il peccato la terra darà soltanto triboli e spine. La terra dell'uomo peccatore è un deserto, non è più un giardino, ma la tentazione rimane la stessa. Però il primo Adamo soccombe, il secondo Adamo vince.
Ora notate, la tentazione che cos'è? Nell'uomo la tentazione può essere una sconfitta, perché l'uomo diviene schiavo del maligno, oppure una vittoria e l'uomo diviene servo di Dio. Ma da parte di colui che tenta che cos'è? È il peccato dell'angelo. Non c'è mica un peccato dell'angelo prima della tentazione di Adamo; la tentazione di Adamo è nello stesso tempo il peccato dell'angelo e il peccato dell'uomo: il peccato dell'angelo che nella sua invidia, nella sua gelosia non può sopportare che al termine dei giorni Dio scelga proprio l'uomo per incarnarsi. Questa è la tradizione islamica. La tradizione cristiana ci dice che il peccato dell'angelo non è un andare direttamente contro Dio: sarebbe stato un angelo ben stupido! Nemmeno un uomo va contro Dio: Dio e impassibile. Chi può pretendere di poter offendere Dio direttamente in Lui stesso? Il nostro atto non lo raggiunge; Egli vive una infinita solitudine e non è accessibile né all'odio, né all'amore, in Se medesimo è inaccessibile. Ma il peccato dell'angelo colpisce Dio quando Dio si rende passibile, quando Dio si mette alla portata della creatura nella sua incarnazione.
Voi vedete dunque che l'Incarnazione è voluta da Dio indipendentemente dal peccato di Adamo. E proprio per questo l'angelo non la sopporta. "Come! - dice Satana a Dio - tu vorresti assumere questo sacco di sterco che è l'uomo? Ma io voglio difendere Te contro Te stesso, non lo permetterò mai! Come dovrò adorare Dio in quest'uomo fatto di fango? Questo mai! Io sono troppo grande, sono più perfetto dell'uomo, perché piegarmi ad adorare?". Ecco il rifiuto dell'angelo, adorare un uomo in questa umanità di Dio. È un rifiuto per invidia nei confronti dell'uomo che è stato chiamato ad essere assunto dal Verbo di Dio. È in questo che l'angelo poteva peccare, perché soltanto in questo Dio diveniva passibile facendosi uomo; e infatti tanto diverrà passibile che il Dio-Uomo sarà crocifisso, sarà calpestato, oltraggiato, vilipeso, morirà sulla croce; ma fino dall'inizio del tempo, proprio in previdenza di questa incarnazione, l'angelo rifiuta, non accetta di umiliarsi di fronte all'Uomo-Dio.
Ed ecco la tentazione dell'angelo, è una tentazione puramente spirituale. L'uomo invece può peccare soltanto secondo tutta la sua natura, nella misura che essendo creato dal nulla, l'uomo per sé tende per forza di inerzia a ricadere in questo nulla, cioè a non tendere a Dio. Tendere a Dio è uno sforzo, tendere a Dio è continuare quel cammino che deve riportarlo alla partecipazione alla vita divina. Ecco l'ascesi, ecco il cammino in salita, ecco l'ascensione dell'uomo verso Dio. Ma l'ascensione costa fatica ed ecco il peccato dell'uomo: l'abbandonarsi alla propria natura per discendere. L'uomo sarà sempre tentato per la forza di inerzia, a discendere, a non essere a servizio dello spirito, ma a pretendere invece che tutto l'essere si pieghi soltanto all'istinto del godimento.
Certo, dobbiamo mangiare, e se quello che ci danno da mangiare è buono ringraziamo il Signore; ma non si deve vivere per mangiare. Il mangiare è per alimentare una vita che è umana, ma se si vive solo per questo siamo soltanto delle bestie, non vi sembra? Sì, dobbiamo dire che il mangiare è proprio in ordine a una vita umana, e la vita umana alla vita spirituale; è sempre la volontà, l'intelligenza, quello che determina l'uomo. Si mangia come i gatti, ma il gatto non può vivere una vita spirituale; invece la nostra vita sensibile è in ordine anche alla vita spirituale, (non parlo della vita soltanto religiosa, ma di quella spirituale) e lo spirito dell'uomo è alle dipendenze di Dio. È tutta una ascensione verticale dell'uomo verso Dio. La sensibilità è un mezzo, è uno strumento alla vita spirituale. Vedete anche l'amore umano: quando un ragazzo si innamora di una donna si innamora perché è bella o è giovane, non è vero? poi nel matrimonio avviene un processo veramente di purificazione, di elevazione spirituale. Il vivere assieme è ben altra cosa, non è l'essere insieme soltanto per andare a letto, è il vivere insieme per un cammino insieme; nel lavoro, nella concordia, un cammino insieme che è il dono di sé, un dono oblativo di sé all'altro che si ama. Questo amore è un amore umano, non è più un amore soltanto animale, non è nemmeno un amore soltanto sensibile, anzi è a un grado più alto del grado umano. D'altra parte la vita umana, anche spirituale, non è fine a se stessa: lo spirito è chiamato poi a vivere l'obbedienza a Dio, a trascendere anche se stesso nel tendere verso Dio in un cammino ascensionale; invece il senso si rifiuta di servire allo spirito, e l'uomo ricade. È quello che ci insegna Dante nella Divina Commedia descrivendo l'inferno: quanto più l'uomo si abbandona all'istinto, tanto più diviene bestiale, sempre più perde anche la sua qualità di uomo spirituale.
Ma c'è anche un abbandono alla volontà di potenza, un abbandono a questa affermazione di sé per la quale tutto vogliamo far servire a noi stessi, per erigere un nostro monumento e far di tutte le altre cose un servizio alla nostra grandezza, un servizio alla nostra dignità. "I grandi di questo mondo si fanno servire - dice Gesù - io non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la mia vita per tutti". Ecco la vita spirituale dell'uomo: un amore che è perfettamente oblativo, un amore che si esprime nell'umiltà, ed è veramente non più far servire gli altri a sé, far perfino servire Dio a sé, è far sì che noi diveniamo invece servitori di Dio e servitori degli uomini, come Gesù servo di Jahvè, che è venuto per servire Lui stesso, ed è questa la nostra risposta al maligno. Ma invece è questa anche la tentazione che noi proviamo, non solo la tentazione riguardo al piacere, riguardo al godimento sensibile, ma anche la tentazione di affermare noi stessi cercando di far servire tutto alla nostra gloria, al nostro onore, al nostro nome, all'affermazione di noi stessi anche nella vita religiosa: si vuole diventare superiori, direttori, c'è sempre questa tentazione di voler essere Dio non secondo la volontà del Signore, ma contro questa volontà, come Adamo.
In fondo la vocazione nostra è proprio quella di divenire Dio, Dio per grazia; non è che il demonio potesse suggerire ad Adamo qualche cosa che non rispondesse alla vocazione stessa dell'uomo; non si tratta di scegliere qualche cosa che è contrario alla propria aspirazione, si tratta di sceglierlo contrariamente ai modi scelti da Dio. Noi infatti dobbiamo divenire Dio, ma in obbedienza alla divina volontà, mentre Adamo vuol divenire Dio secondo la tentazione del serpente, contro la volontà divina. È l'affermazione di noi stessi contro la volontà di Dio che è all'origine di tutte le nostre mancanze, o almeno della massima parte delle nostre mancanze.
Il cammino che ha scelto il Cristo è l'umiltà dell'amore, quella umiltà che fa sì che l'uomo viva puramente e semplicemente in dipendenza della volontà del Padre. Così infatti si inizia la passione di Gesù: "Padre, se è possibile passi da me questo calice, ma non la mia volontà sia fatta, ma la tua". E la volonta del Padre è la morte, e la volontà del Padre è l'abbandono, la desolazione suprema, in ordine a un amore che esige da Lui il dono supremo a Dio nell'abbandono della morte.
Miei cari fratelli, vedete, come vi è una corrispondenza perfetta fra la tentazione del serpente ad Adamo e la tentazione del maligno a Cristo; e poi, termine di tutta la storia sacra del mondo, la morte di Croce come risposta vittoriosa alla tentazione, risposta vittoriosa che porta Gesù attraverso l'umiliazione della croce, alla gloria della sua risurrezione. Egli, il servitore vero di Dio, diviene Colui che partecipa ora nella sua umanità alla gloria stessa della Trinità. È quello che chiede Gesù nella preghiera sacerdotale, ricordate? "Glorificami di quella gloria che avevo prima che il mondo fosse". Questa gloria è mai mancata a Gesù? Mai: come Figlio di Dio, nella sua natura divina, Egli non poteva spogliarsi di quella gloria; ma nella sua natura umana sì. Guardatelo vilipeso, oltraggiato, umiliato, calpestato da tutti. Egli è divenuto "verme, non uomo'". Ed ecco invece che ora proprio questa umanità si innalza al di sopra degli angeli, si innalza fino al trono di Dio, fino alla destra del Padre, e con il Cristo che si innalza non solo gli angeli vengono glorificati, ma l'umanità nostra si innalza al di sopra degli angeli.
Che cosa diamo noi alla glorificazione del Cristo? La nostra stessa umanità. Guardate che noi, inferiori agli angeli, siamo più degli angeli nel mistero cristiano, perché Egli ci ha fatto sedere con Lui stesso alla destra del Padre. Dice san Paolo nella Lettera ai Colossesi: "Perché noi stessi partecipiamo di quel nome che è al di sopra di ogni altro nome", perché noi siamo figli di Dio nel Figlio Unigenito. Ecco la glorificazione che ci aspetta attraverso la Quaresima, ecco il significato della Quaresima ed ecco il significato di Pasqua. Non è soltanto la memoria di un mistero che si è compiuto in Cristo, è la partecipazione a questo mistero da parte di tutta la comunità cristiana.
Che cosa vuol dire per noi vivere la Quaresima? Vuol dire vivere la risposta del Cristo alle tentazioni del maligno, vivere cioè una vita sensibile, sì, ma che sia a servizio della nostra vita spirituale, una vita spirituale, sì, ma non per l'affermazione del nostro orgoglio, della nostra grandezza, ma per essere al servizio di Dio nell'umiltà e nell'obbedienza, attraverso questo servizio che abbiamo detto prima, attraverso questo vivere il nostro morire per partecipare poi alla gloriosa risurrezione di Cristo Signore. Noi infatti non viviamo la Quaresima per vivere la Quaresima, viviamo la Quaresima per vivere poi questo trionfo pasquale. Non è vero che la Quaresima è preparazione alla Pasqua, è la preparazione al trionfo; la nostra vita è veramente questa Quaresima, tutti sentiamo di vivere la Quaresima. Nella vita presente siamo condizionati dal nostro corpo, che è soggetto alle malattie, siamo soggetti alle ingiustizie, alle umiliazioni continue da parte della società, da parte anche della nostra famiglia; sempre, tutta la vita presente è una Quaresima. Ma in questa Quaresima se noi facciamo servire veramente la nostra vita sensibile e la nostra vita spirituale al disegno divino, alla volontà di Dio, noi ci prepariamo al trionfo. Ma in fondo non è vero nemmeno questo, perché noi viviamo già una partecipazione alla risurrezione del Cristo.
Che cosa si è letto stamani nella Lettura breve delle Lodi? Che la gioia di Dio è la nostra forza. Noi viviamo già la gioia perché il Cristo risorto è già con noi, già vive nei nostri cuori. Nonostante che viviamo in una condizione mortale, in una condizione passibile, noi viviamo la gioia, la gioia nel servizio dei figli di Dio. La partecipazione alla Risurrezione non è rimandata a domani, noi la viviamo già ora: morte e risurrezione è la condizione propria del cristiano quaggiù.
Miei cari fratelli, nella misura che vivremo l'obbedienza a Dio, nella misura che vivremo questa ascensione dell'anima a Lui, già viviamo anche il trionfo pasquale, ma lo viviamo nella misura che viviamo questo servizio, questa obbedienza alla volontà divina, nella misura che vivremo questo rifiuto di vivere abbandonandoci agli istinti, o piuttosto a questa forza di inerzia che ci riporta nel nulla.
Sant'Agostino e san Tommaso ci dicono che il male è una "mancanza di bene". Non è certamente un peccato per un gatto mangiare una polpetta trovata sulla tavola, ma tu che hai la volontà hai anche la esigenza di una vita morale, di una vita etica. Nel gatto vive soltanto l'istinto, ma gli istinti dell'uomo devono essere ordinati a una volontà etica, e la volontà etica deve essere ordinata all'obbedienza a Dio; è tutto un cammino ascensionale. Se invece tu non ti ordini a Dio tu cadi: ecco il peccato; se tu invece di ordinare la tua vita sensibile alla vita spirituale, ti abbandoni agli istinti sensibili, tu decadi ancora di più. È questa ascensione che devi volere, questo cammino ascensionale. Ma guardate che non si tratta di ascendere il monte della perfezione, si tratta di volare! Bisogna lasciarci portare dallo Spirito, abbandonarci allo Spirito perché lo Spirito possa portarci e sollevarci a Sé: ecco il cammino dell'anima!
Miei cari fratelli, la legge fondamentale del cristiano è la docilità all'azione dello Spirito, l'abbandono all'azione dello spirito. E guardate, la Lettera agli Ebrei ci dice che Gesù vive la sua passione nell'abbandono allo Spirito, e tutti dobbiamo abbandonarci a quello Spirito creatore che, come ci ha sollevato dal nulla all'essere, ora ci solleva dall'essere creato fino alla partecipazione alla vita divina.
Una cosa dunque si impone per noi: questo credere nello Spirito che vive in noi, questo sempre più abbandonarci allo Spirito perché noi possiamo sollevarci oltre noi stessi fino a raggiungere il seno del Padre, perché il cammino dell'uomo non è nemmeno la Salita del monte Carmelo, è l'ascensione nel seno di Dio. Che il Cristo e lo Spirito ci sollevino a Sé fino a far sedere anche noi alla destra del Padre. Ecco il cammino per cui ci ha chiamato il Signore; che noi possiamo davvero vivere questa nostra vita presente con un volo di amore che ci porta direttamente a Dio.