“Il cristiano o è contemplativo o non è”.
L’oblato, o è contemplativo o non è.
Per essere contemplativi non è necessario andare a vivere in un deserto e nemmeno in un monastero. Stranamente, può capitare che uno viva nel deserto o in monastero e non sia affatto un contemplativo. O che viva assillato da una gran quantità di incombenze e lo sia.
S. Francesco di Sales scriveva: “E’ un’eresia voler escludere la devozione alla bottega degli artigiani. Perciò dovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta”, dove al termine “devozione” potremmo tranquillamente sostituire “contemplazione”.
Lungo la storia della spiritualità, per molti secoli la contemplazione è stata considerata un fenomeno riservato esclusivamente allo stato di vita dei religiosi, sino al punto da fare equivalere questi due termini: “vita contemplativa e vita religiosa”. Si dava infatti per scontata l’incompatibilità tra azione o vita attiva e contemplazione o vita contemplativa. La vita nel mondo costituiva perciò un ostacolo insormontabile per un cristiano, che avrebbe dovuto abbandonare le attività secolari se avesse voluto arrivare ad essere contemplativo.
Vorrei fare riferimento in questo in contro a un santo dei nostri giorni: San José Maria Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei
Ha proposto con limpida dottrina, in modo aperto e perentorio la chiamata alla contemplazione in mezzo al mondo di tutti.
«La contemplazione non è per privilegiati. C’è chi, con conoscenze elementari di religione, pensa che i contemplativi stiano tutto il giorno in estasi. È una grande ingenuità. I monaci nei loro conventi hanno mille attività: puliscono la casa e lavorano per guadagnarsi la vita”.
Le definizioni classiche
Chiediamoci dapprima: cos’è la vita contemplativa? Potremmo dire: è la vita cristiana che si orienta decisamente verso la crescita della grazia e delle virtù teologali che ci permettono di contemplare Dio. In maniera sintetica: amore fedele proteso nella speranza.
 
La contemplazione è fede che vive nell’amore e che dovunque riconosce Dio e a lui si unisce.
E’ vita continuamente memore di Dio. E’ camminare alla Sua presenza.
Al di là delle forme che essa può assumere (diverse come è diversa ogni vita e ogni via), la contemplazione è un modo di guardare. Una forma particolare di conoscere.
«Contemplazione (...) è un’amorosa, semplice e permanente attenzione dello spirito alle cose divine» (S.F. di Sales): si mette in rilievo che la contemplazione consiste essenzialmente in un’attenzione o sguardo dello spirito che ha le caratteristiche della semplicità e della costanza.
Tutti siamo chiamati ad essere contemplativi in mezzo al mondo
S. José Maria Escrivà:
«La contemplazione non è per privilegiati. C’è chi, con conoscenze elementari di religione, pensa che i contemplativi stiano tutto il giorno in estasi. È una grande ingenuità. I monaci nei loro conventi hanno mille attività: puliscono la casa e lavorano per guadagnarsi la vita».
La vita, così com’è, è chiamata a divenire il luogo della nostra contemplazione.
Voi siete oblati…e siete laici, ed è importante avere ben chiaro che c’è una grazia speciale di Dio in questo vostro genere di esistenza. La vita di tutti i giorni – lo sappiamo - non può scorrere parallela rispetto al cammino di fede.
Provo a descrivere la vita dei laici. La prima caratteristica è l’eterogeneità. Tra le esistenze cristiane, è quella più esposta al rischio della dissipazione, della dispersione.
Il laico è risucchiato da ritmi vorticosi, interpellato da relazioni diversissime, alcune delle quali ingovernabili. Una famiglia si allarga perché viene alla luce un bambino…oppure una grave malattia colpisce un membro della famiglia… addio al buon ordine della vita…i ritmi ne sono sconvolti…addio alle giornate programmate, dove tutto è registrato…
Una domanda: in questa eterogeneità non vi è forse la possibilità di una sintesi più piena?
La vita di tutti i giorni deve diventare la nostra cella monastica!
Mi aiuto con un detto rabbinico:
“Bisogna stare in piedi, ma non troppo; stare seduti, ma non troppo; camminare, ma non troppo”.
Il significato di questo detto, di primo acchito forse un po’ enigmatico, applicato alla vita, è il seguente. L’essere in piedi indica l’ascolto della parola; l’essere seduti indica la meditazione, la riflessione su di sé, il camminare è l’incontro con gli altri. Sono, in fondo, le tre relazioni che ci costituiscono: Dio, noi stessi, gli altri.
Questa è l’immagine della vita di un laico cristiano. Non ci sono “recinti sacri” , né orari canonici. Il laico si trova nel mondo, ha a che fare con gli altri, è “stiracchiato” da mille incombenze. Le tre relazioni (io, Dio, mondo) sono spesso una matassa aggrovigliata. Si sta in piedi, ci si siede, si cammina. Spesso con nostalgia di una preghiera più quieta e distesa, di spazi di silenzio, di desiderio di ritagliare dei momenti di contemplazione, ma si è costretti a correre affannosamente perché le relazioni umane impongono i loro ritmi. Poi magari, sul far della sera, prima di spegnere la luce, si trova un po’ di tempo per sé e per Dio.
Ogni tanto, si riesce, sgomitando contro l’invasività degli affari e la scaletta degli impegni, a ritagliarsi un po’ di tempo libero mai troppo ampio e a “stare in piedi”, si sa che si tratta di un breve interludio, una sosta all’oasi, mentre il cammino che sta davanti è ancora lungo, dovrà solcare monti e valli, attraversare deserti.
La citazione di Francesco di Sales ricordata all’inizio vuole essere una garbata contestazione a un modo di pensare che voleva la contemplazione impossibile o assai ardua per chi conduce una vita “normale”.
Ci conforta l’esperienza di santi come Agostino e Gregorio: strappati, a causa degli eventi, dalla tranquillità della vita monastica, pur tormentati di non poter più vivere l’unificazione agognata, non hanno abbandonato la loro occupazione per tornare alla loro clausura.
Escrivà:
Siamo obbligati a fare della nostra vita ordinaria una preghiera continua, perché siamo anime contemplative in mezzo a tutte le strade del mondo”.
Dovunque stiamo, in mezzo al rumore della strada e delle occupazioni umane – in fabbrica, all’università, nelle campagne, in ufficio, in casa – ci ritroviamo in una semplice contemplazione filiale, in costante dialogo con Dio. Perché tutto – persone, cose, lavoro – ci offre l’occasione e il tema per una continua conversazione con il Signore”. “…portare a Dio tutte le cose”.
Scrive un sacerdote, autore di un bellissimo saggio sui salmi come preghiera dei laici:
“La vocazione dei laici è una vita d’acrobati: un continuo abbandonare la sbarra del trapezio per abbrancare al volo le mani di qualcuno che ci aspetta in volo. Casa, famiglia, lavoro, piatti da lavare, biancheria da stendere, nipotini da ritirare all’asilo. E’ fatta di questa pasta l’inquieta vita dei laici. […]
E’ in questa vita che la preghiera è chiamata a fiorire. Una vita che, nonostante i mille propositi teorici, rimarrà sempre una corsa contro il tempo, un donare i mille impegni e le molte preoccupazioni, che proprio non ne vogliono sapere di presentarsi in fila indiana, comandati e ligi […] e che anzi sembra proprio che lo facciano di proposito a comparire tutti insieme, in un colpo solo, e a sovvertire la buona disposizione delle cose da fare” [1].
“Lo straordinario è per noi l’ordinario: l’ordinario vissuto con perfezione. Sorridere sempre, passando sopra – anche con eleganza umana - le cose che danno fastidio: essere generosi senza taccagnerie. In una parola, fare della nostra vita normale una continua preghiera” (Escrivà).
“…senza rendercene conto, pensiamo tutto il giorno al Signore e ci sentiamo spinti a mettere Dio in tutte le cose che, senza di Lui, ci appaiono scialbe. Arriva il momento in cui non è possibile distinguere dove termina la preghiera e comincia il lavoro, perché il nostro lavoro è anche preghiera, contemplazione, vera vita mistica di unione con Dio – senza stranezze – è divinizzazione”.
“Non condividerò mai – anche se la rispetto – l’opinione di chi separa l’orazione dalla vita attiva, come se fossero incompatibili. Noi figli di Dio dobbiamo essere contemplativi: persone che, in mezzo al frastuono della folla, sanno trovare il silenzio dell’anima in dialogo permanente con il Signore; e sanno guardarlo come si guarda un Padre, come si guarda un Amico, che si ama alla follia”. “Contempla il Signore dietro ogni avvenimento, ogni circostanza, e così saprai trarre da tutti gli eventi più amore di Dio e più desiderio di corrispondere, perché Egli ci attende sempre….”.
Scoprire e cercare Dio in ogni cosa
Dio è là dove siamo noi! Chi ama Dio e lo cerca, lo cercherà in ogni luogo e in ogni attività; e sia l’attività che il riposo, tutto gli serve per trovare e gustare Dio.
Rinnovare la consapevolezza della presenza di Dio. Sapere che Lui c’è, che io sono in Lui, che il suo amore mi circonda, mi avvolge.
Il Signore Gesù è come il sole che illumina nel quale tutto ha senso.
“Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai. Per questo vi posso dire che la nostra epoca ha bisogno di restituire alla materia e alle situazioni che sembrano più comuni, il loro nobile senso originario, metterle al servizio del Regno di Dio, spiritualizzarle, facendone mezzo e occasione del nostro incontro continuo con Gesù Cristo”.
“Siatene pur certi, figli miei: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio”.
“No, figli miei! Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che dev'essere - nell'anima e nel corpo - santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali”.

A queste testimonianze si aggiunge la voce di madre Mectilde de Bar:
“Quando svolgete un lavoro, fatelo sotto lo sguardo di Dio e per Dio, con tutta la perfezione possibile. Date gloria a Dio compiendo perfettamente ciò che vi comanda”[2].
Tutta la perfezione del cristianesimo consiste in uno sguardo attuale a Gesù Cristo, e in un’adesione o sottomissione continua al suo beneplacito. Questi due punti racchiudono tutto, e la loro pratica fedele vi condurrà al più alto grado di perfezione. Beata l’anima che li osserva.
Il primo punto consiste nel vedere Gesù Cristo in tutte le cose, in tutti gli avvenimenti e in tutte le azioni, in modo tale che questa visione divina ci tolga la vista delle creature, di noi stesse e dei ostri interessi, per non vedere altro che Gesù Cristo. In una parola significa avere Dio attualmente presente[3].
I frutti della contemplazione
Con la fede Dio ci dà occhi nuovi: i suoi occhi! Con la grazia dell’amore ci dà un cuore nuovo: il suo! Se accettiamo il dono e sappiamo trarne profitto, potremo guardare con i suoi occhi e vivere con il suo cuore.
Noi abbiamo ricevuto la caparra del dono della contemplazione. Se la fede e l’amore aumentano, si trasformeranno in fede che vive nell’amore e che riconosce Dio ovunque e in tutto si unisce a lui.
“Il primo grado di umiltà consiste nel porsi sempre davanti agli occhi il timor di Dio, per evitare nel modo più assoluto di vivere da smemorati”.
E’ un cammino che richiede pazienza e fortezza. Chi non progredisce, regredisce. A mano a mano che procediamo, però, vediamo Dio in ogni cosa e perciò sentiamo di essere più uniti a lui che è tutto. Saremo così in grado di offrire agli altri i frutti dei nostri doni di contemplazione. E il “polso” è il nostro agire, la nostra carità, la nostra affabilità, la nostra semplificazione nelle parole, nei gesti, persino nel nostro contegno esterno, nel nostro modo di vestire, di atteggiarci.
Pellegrinaggio in cui “veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3,18).
Che cosa è essenziale allora? Azione o contemplazione? Impegno o separazione dal mondo? Seguendo il nostro detto rabbinico: alzarsi, sedersi o camminare? La risposta è: l’uno e l’altro e l’altro ancora. L’essenziale è non uscire dallo sguardo di Dio stare alla sua presenza…l’essenziale è lasciare che tutto sia unificato dall’amore e incamminarsi decisamente in questa via. Coraggio!

[1] G. Cazzulani, Un giro di valzer con Dio. Pregare i Salmi, da laici, ed. Ancora, Milano 2006, pp. 22.23.24.
[2] Catherine Mectilde de Bar, Lettere di un’amicizia spirituale, ed. Ancora, Milano 1999, p. 121.
[3] Ibid., p. 141.